domenica 22 febbraio 2015

La verità dei palloncini


Forse anche noi siamo come i palloncini: legati a terra da un filo sottile di legami, tradizioni, paure e incapacità. Se potessimo tagliarli di netto, senza rimuginarci troppo sopra, potremo volare. E chi è che non desidererebbe volare? Andare dove vuole, magari poi tornare, o perché no, continuare ad andare, di cielo in cielo, senza meta o alla ricerca sempre continua di un orizzonte nuovo, nell’estasiante bellezza della diversità. Solo che il nostro filo, con gli anni, diventa una corda; logora sì, ma sempre un corda, che ci ancora a terra e ci impedisce di partire, di solcare i mari del cielo, sulle onde bianche delle nuvole e naufragare nei colori dell’alba. Sì, se solo si potesse nascere e vivere senza fili che ci tengono legati a terra a campare come marionette di un passato segnato da decisioni sempre sbagliate perché fatte in momenti diversi, allora sì che si potrebbe essere felici!
Stob era un palloncino. Un solo colore. Sempre lo stesso. Uguale, identico a sé stesso. Nasceva piccolo, come gli uomini e come loro era destinato a crescere. Nel suo futuro ci sarebbe stata aria a dargli vita e vento a disegnargli un futuro. Sì perché i palloncini volano via senza meta, sbandati e condotti non dalla loro volontà, ma dalla pazzia del vento. E non c’è modo di opporvisi per rimanere nel posto in cui si sta bene. Perché laddove si sta bene non si ha voglia di cercare di meglio. Il di più è per chi non si accontenta e chi non si accontenta non starà mai bene. Questo Stob lo sapeva bene. Sapeva anche che di aria che lo rendesse vivo, che lo rendesse Stob, non ne serviva troppa. Troppa lo avrebbe esploso: ucciso. Gliene occorreva il giusto, concetto ormai desueto tra gli umani, che pensano di essere capaci di ingurgitare tutto e tutto digerire, mentre invece muoiono di niente o satolli di qualche sciocchezza. I palloncini sanno come si vive e sanno che la loro esistenza si esaurisce in una festa o in un gioco, poi vengono gettati via insieme ai rifiuti puzzolenti. Ad altri, ai più fortunati, è riservato un altro futuro: il cielo. Quello di volare e poi, anche loro, morire, sciogliendosi nell’abbraccio del sole, lontano dalla tristezza di un bambino che lo ha visto esplodere. I palloncini non vivono per esplodere, anche se tutti subiranno quella fine. I palloncini esistono per i bambini, che hanno bisogno di un filo (lo stesso, identico, che gli uomini disprezzano) per portarli e poterci giocare.
L’eternità non è né per i bambini né per i palloncini, ma entrambi hanno la possibilità di dare un senso alla loro esistenza, nell’incontro di un gioco, donando a vicenda il proprio tempo e le proprie fantasie. I palloncini donano la propria vita perché i bambini possano essere, anche solo per qualche ora, migliori, più colorate e più belle. E possano permettere ai bambini di fissare il cielo con il nasino all’insù.
Sì, io vorrei essere come Stob: un palloncino nelle mani di un bambino e spendere la mia vita perché lui sia contento e nella contentezza guardare il cielo e capire che là dove io mi perdo e sparisco, sì proprio lì, c’è la vita. La mia come la sua.

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