mercoledì 1 ottobre 2014

Gli animali hanno diritti?

UNA SINTESI DEI PRINCIPI

La mia tesi ha spaziato liberamente dalla metafìsica astratta alla filosofia etica e alla casistica morale: in quelle di Peter Sin­ger e dei suoi seguaci, non trovo alcunché di serio della prima, poco della seconda e molto della terza. Ciò spiega la sempli­cità esortatoria delle loro conclusioni; ma, a mio modo di ve­dere, suggerisce pure fino a che punto siano state da loro evi­tate le questioni serie. Quindi, a beneficio del lettore scettico, propongo una sintesi dei principi che credo dovrebbero gui­darci nelle nostre relazioni con gli animali e che non soltanto rispecchiano la funzione sociale del giudizio morale, ma anche la realtà mentale degli animali stessi.
-                     Dobbiamo distinguere fra esseri morali e non morali: i primi vivono in un ambito d(jve si intrecciano diritti e doveri reci­proci, creati dal dialogo; i secondi esistono al di fuori di esso e sarebbe sia sconsiderato sia crudele cercare di includerveli.
-                     Gli animali, dunque, non hanno diritti. Tuttavia, ciò non si­gnifica che gli esseri umani non abbiano doveri nei loro con­fronti, doveri che nascono e vengono assunti nel momento in cui rendiamo gli animali dipendenti da noi per la loro soprav­vivenza e il loro benessere.
Anche quando un dovere di cura non viene assunto, le nostre relazioni con gli animali sono regolate da considerazioni mora­li, che non derivano dalla legge morale, ma da altre tre fonti del sentimento morale: virtù, simpatia, rispetto (pietas).
-                     L’etica della virtù condanna quei modi di trattare gli animali che scaturiscano da una motivazione crudele. Per esempio, trarre piacere dalla sofferenza di un animale è moralmente ri­pugnante, e così, mi pare, ne è l’uso o l’abuso sessuale.
-                     Quando l’etica della virtù tace, il potere dello spirito simpa­tetico è autorevole, poiché si estende a tutte le creature dotate di intenzionalità, a tutte le creature che percepiscono il mon­do e i cui dolori e piaceri possono essere capiti quanto capia­mo i nostri.
-                     Quando è la simpatia che parla, il suo tono è utilitaristico, e con ciò intendo che essa - quella vera - tiene in considerazio­ne tutte le creature, sebbene non conceda uguale peso ai loro interessi. Le valutazioni utilitaristiche, tuttavia, non possono trascurare diritti e doveri, e devono essere prese in considera­zione solo dopo che siano state soddisfatte le esigenze della legge morale.
-                     Nei confronti di creature che non possiedono intenziona­lità - per esempio, insetti e vermi - proviamo solo un’ombra di simpatia. In questo caso non è affatto riprovevole che la gente debba tenere conto solo della specie e non dei singoli individui.
-                     I nostri obblighi morali nei confronti delle creature che ab­biamo rese dipendenti da noi sono diversi da quelli verso gli animali selvatici. Nel primo caso abbiamo il dovere di dare lo­ro una vita appagata, una morte pietosa e l’addestramento ne­cessario affinché partecipino al mondo degli esseri umani; nel secondo abbiamo il dovere di proteggere i loro habitat, di mantenere l’equilibrio naturale nel miglior modo possibile, di non infliggere dolore o incutere paura che non siano giustifi­cati da relazioni legittime con loro. Quali siano esattamente le relazioni legittime è, però, questione complessa. Tuttavia, al­meno fino a un certo punto, è chiarita dai principi appena enunciati: è moralmente discutibile tenere un animale in catti­vità unicamente per esporlo in uno zoo; è immorale tormen­tarlo per il solo piacere di farlo. La caccia e la pesca degli ani­mali selvatici, nelle giuste circostanze, sono lecite e possono rappresentare un bene positivo.
-                     I casi più problematici sorgono quando ci assumiamo un do­vere di cura verso animali ai quali non è concesso di fare parte della comunità morale: i due più rilevanti sono rappresentati dagli animali da fattoria, in particolare quelli allevati per la carne e quelli usati nei laboratori, soprattutto se sottoposti a esperimenti dolorosi. A me sembra che, nel primo caso, le esi­genze della moralità siano soddisfatte quando agli animali vengano concessi libertà, cibo e distrazioni sufficienti a dare appagamento alle loro vite, indipendentemente da quando so­no uccisi, a patto che ciò avvenga in modo efficiente e non senza un certo spirito di simpatia. Nel secondo caso, le esigen­ze di moralità sono difficili da soddisfare partendo dal solo presupposto che gli esperimenti in questione rappresentino un indiscutibile contributo al benessere di altre creature.
Non pretendo che i suddetti principi dettino l’ultima pa­rola sull’argomento. Al contrario, sembrano essere solo l’ini­zio. Capiti nel modo giusto, essi dovrebbero, comunque, in­coraggiarci a distinguere fra un comportamento giusto e uno crudele verso le altre specie e ad aiutarci a capire come mai anche persone corrette intraprendano attività come l’alleva­mento dei maiali, mangino carne, peschino con la lenza, in­dossino pellicce, sparino alle cornacchie e ai conigli, tutte co­se che molti osservatori del mondo umano considerano for­me di depravazione.

[R. Scruton – Gli animali  hanno diritti?]

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