UNA SINTESI DEI PRINCIPI
La mia tesi ha spaziato liberamente dalla
metafìsica astratta alla filosofia etica e alla casistica morale: in quelle di
Peter Singer e dei suoi seguaci, non trovo alcunché di serio della prima, poco
della seconda e molto della terza. Ciò spiega la semplicità esortatoria delle
loro conclusioni; ma, a mio modo di vedere, suggerisce pure fino a che punto
siano state da loro evitate le questioni serie. Quindi, a beneficio del
lettore scettico, propongo una sintesi dei principi che credo dovrebbero guidarci
nelle nostre relazioni con gli animali e che non soltanto rispecchiano la
funzione sociale del giudizio morale, ma anche la realtà mentale degli animali
stessi.
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Dobbiamo distinguere fra esseri morali e
non morali: i primi vivono in un ambito d(jve si intrecciano diritti e doveri
reciproci, creati dal dialogo; i secondi esistono al di fuori di esso e
sarebbe sia sconsiderato sia crudele cercare di includerveli.
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Gli animali, dunque, non hanno diritti.
Tuttavia, ciò non significa che gli esseri umani non abbiano doveri nei loro
confronti, doveri che nascono e vengono assunti nel momento in cui rendiamo
gli animali dipendenti da noi per la loro sopravvivenza e il loro benessere.
Anche quando un dovere di cura non viene
assunto, le nostre relazioni con gli animali sono regolate da considerazioni
morali, che non derivano dalla legge morale, ma da altre tre fonti del
sentimento morale: virtù, simpatia, rispetto (pietas).
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L’etica della virtù condanna quei modi di
trattare gli animali che scaturiscano da una motivazione crudele. Per esempio,
trarre piacere dalla sofferenza di un animale è moralmente ripugnante, e così,
mi pare, ne è l’uso o l’abuso sessuale.
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Quando l’etica della virtù tace, il potere
dello spirito simpatetico è autorevole, poiché si estende a tutte le creature
dotate di intenzionalità, a tutte le creature che percepiscono il mondo e i
cui dolori e piaceri possono essere capiti quanto capiamo i nostri.
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Quando è la simpatia che parla, il suo
tono è utilitaristico, e con ciò intendo che essa - quella vera - tiene in
considerazione tutte le creature, sebbene non conceda uguale peso ai loro
interessi. Le valutazioni utilitaristiche, tuttavia, non possono trascurare
diritti e doveri, e devono essere prese in considerazione solo dopo che siano
state soddisfatte le esigenze della legge morale.
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Nei confronti di creature che non
possiedono intenzionalità - per esempio, insetti e vermi - proviamo solo
un’ombra di simpatia. In questo caso non è affatto riprovevole che la gente
debba tenere conto solo della specie e non dei singoli individui.
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I nostri obblighi morali nei confronti
delle creature che abbiamo rese dipendenti da noi sono diversi da quelli verso
gli animali selvatici. Nel primo caso abbiamo il dovere di dare loro una vita
appagata, una morte pietosa e l’addestramento necessario affinché partecipino
al mondo degli esseri umani; nel secondo abbiamo il dovere di proteggere i loro
habitat, di mantenere l’equilibrio naturale nel miglior modo possibile, di non infliggere
dolore o incutere paura che non siano giustificati da relazioni legittime con
loro. Quali siano esattamente
le relazioni legittime è, però, questione complessa. Tuttavia, almeno fino a
un certo punto, è chiarita dai principi appena enunciati: è moralmente
discutibile tenere un animale in cattività unicamente per esporlo in uno zoo;
è immorale tormentarlo per il solo piacere di farlo. La caccia e la pesca
degli animali selvatici, nelle giuste circostanze, sono lecite e possono
rappresentare un bene positivo.
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I casi più problematici sorgono quando ci
assumiamo un dovere di cura verso animali ai quali non è concesso di fare
parte della comunità morale: i due più rilevanti sono rappresentati dagli
animali da fattoria, in particolare quelli allevati per la carne e quelli usati
nei laboratori, soprattutto se sottoposti a esperimenti dolorosi. A me sembra
che, nel primo caso, le esigenze della moralità siano soddisfatte quando agli
animali vengano concessi libertà, cibo e distrazioni sufficienti a dare
appagamento alle loro vite, indipendentemente da quando sono uccisi, a patto
che ciò avvenga in modo efficiente e non senza un certo spirito di simpatia.
Nel secondo caso, le esigenze di moralità sono difficili da soddisfare
partendo dal solo presupposto che gli esperimenti in questione rappresentino un
indiscutibile contributo al benessere di altre creature.
Non pretendo che i suddetti principi
dettino l’ultima parola sull’argomento. Al contrario, sembrano essere solo
l’inizio. Capiti nel modo giusto, essi dovrebbero, comunque, incoraggiarci a
distinguere fra un comportamento giusto e uno crudele verso le altre specie e
ad aiutarci a capire come mai anche persone corrette intraprendano attività
come l’allevamento dei maiali, mangino carne, peschino con la lenza, indossino
pellicce, sparino alle cornacchie e ai conigli, tutte cose che molti
osservatori del mondo umano considerano forme di depravazione.
[R. Scruton – Gli animali hanno diritti?]
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