Durante
l’Era glaciale, molti animali morivano a causa del freddo. Fu allora che i
porcospini decisero di raggrupparsi, in modo da riscaldarsi e proteggersi a
vicenda. Ma gli aculei ferivano i compagni più vicini – proprio quelli che
fornivano maggior calore. Per questo motivo, si allontanarono di nuovo. E
ricominciarono a morire per il gelo. A quel punto dovettero compiere una
scelta: o venir decimati e rischiare di scomparire dalla faccia della terra,
oppure accettare il fastidio degli aculei del prossimo. Saggiamente, decisero
di tornare a unirsi. E impararono a convivere con le piccole ferite che un
rapporto molto stretto può causare, comprendendo che la cosa più importante era
il calore dell’altro. E così sopravvissero.
[P.
Coelho – Adulterio]
Ama chi più
si avvicina all’amato. E chi più gli si avvicina più soffre. Non a causa
dell’amato, ma per l’amato. Ognuno di noi ha i propri aculei, più o meno
lunghi, più o meno dolorosi, più o meno appuntiti. Non c’è uomo che non ne
abbia. Per accettarlo bisogna sottomettersi alla realtà, alla verità delle
cose; a quella verità che ci mostra per quello che siamo, ognuno appunto con i
propri aculei, e non per quello che vorremmo essere. Sogniamo – e il mondo ci
facilita il compito – un amore privo di sofferenza. Ti amo perché sto bene con
te, perché è piacevole starti vicino, eccetera. Aldilà che in questa visione il
primo posto lo occupo io e i miei piaceri e bisogni e non l’altro, considerato
alla stregua di un prodotto, magari scegliendolo tra le alternative del meno
peggio. Amiamo noi stessi e trasferiamo questo narcisismo sugli altri, non
sapendo accettare nemmeno i più piccoli pruriti e fastidi. Essi, ci
convinciamo, devono essere eliminati, sfumati, ignorati se sulla bilancia della
convenienza pesano meno, molto meno, di ciò che di bello e buono l’altro ha.
L’amore che ci viene presentato è questo: benessere. Invece ama chi soffre, non
per masochismo, ma per vicinanza alla persona amata. Non si può eludere la
sofferenza come un mondo irrazionale (e una teologia eretica) vogliono farci
credere. Questo amore mondano, commerciale, crea consumatori, non amanti.
Consumiamo i sentimenti, non accettiamo che essi segnino le nostre vite. E
valutiamo l’amore solo in base al benessere che ci procura, perché siamo così insensatamente
folli da rinnegare ogni tipo di sofferenza, che non va cercata, ma accettata,
accolta, portata. Gesù Cristo per starci vicino, per amarci, quegli aculei Gli
hanno trafitto le mani, i piedi e il costato. Non c’è altro modo di amare, solo
in questo c’è la pienezza. Ma non è un gioco, è una scelta che impegna tutta la
vita e l’infinità di ogni giorno. Bisogna volere amare. Amare è un verbo
attivo. Bisogna sottostare alla verità dell’altro che vogliamo amare, non
amarlo seguendo le caricature delle nostre convinzioni. C’è una verità cui
bisogni confrontarsi e anche questa, seppur dolorosa, va accolta. Lascia segni,
visibili e invisibili, l’amore. Ma sono i segni di chi ha vissuto e speso la
propria vita e non seguito la solitudine di una sterile autoconservazione. Si
muore sempre, amando o non amando, trafitti o di freddo, vicino a chi amiamo o
terribilmente soli. Non è il per sempre di questa vita che l’amore garantisce,
ma l’eternità che trascende la morte. Per questo l’amore vince la morte. Un amore
che non evita la morte e la sofferenza, ma che la sublima, non dando ad essa
l’ultima parola, ma continuando a esistere anche dopo di essa.
Amare è
scegliere la scelta fatta da Qualcuno che sceglie te come amante capace e in
dovere di amare sì tutti, ma solo uno esclusivamente.
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