Sul Foglio del 31 maggio scorso è stato pubblicato
questo articolo di S. Pillon, dal titolo “Dopo
il divorzio breve tanto vale abolire il matrimonio concordatario” (le
evidenziature sono le nostre):
Davanti alla
decisione della Camera di approvare con un’improvvisa accelerazione il Ddl sul
divorzio breve, riducendo a sei mesi i tempi per il divorzio concordatario, la
chiesa cattolica ha un’unica possibilità per dare un forte segnale: denunciare
il Concordato del 1929 come modificato nel 1985 rinunciando al matrimonio
concordatario. Con l’avvento del
divorzio breve, infatti, se il Senato lo approverà come è stato approvato
ieri dalla Camera dei deputati, nella compiacenza quasi totale, il matrimonio concordatario non ha più
ragion d’essere. Tanto vale tornare alla celebrazione del doppio matrimonio per
chi si sposa in chiesa, così da meglio poter rappresentare che la chiesa
cattolica intende il matrimonio come indissolubile. Diversamente, le coppie
continuerebbero a considerare un unicum i due matrimoni che, ora più che mai,
hanno fatto emergere la loro natura assolutamente differente. Per sempre, il matrimonio cristiano. A
tempo determinato, il matrimonio civile. Che senso ha ingannare le persone
continuando a offrire due “prodotti” tanto diversi in un’unica confezione? Ci
sono gli estremi per la truffa in commercio! Sei mesi non servono neppure per
fissare la data dell’udienza di separazione nella gran parte dei tribunali
d’Italia e poiché il dies a quo del computo decorre dal deposito del ricorso
per la separazione, in molti casi il divorzio e la separazione saranno
contemporanei. Di fatto si è abrogata la separazione, tempo che avrebbe dovuto
esser riempito di contenuti per consentire ai coniugi un ripensamento e una
riconciliazione e che oggi invece si vuole semplicemente eliminare. I dati
della Spagna sono eloquenti. Nel 2000 aveva un quoziente di divorzi tra i più
bassi d’Europa (0,9 per 1.000 abitanti) insieme con l’Italia e l’Irlanda (0,7).
Nel 2011, dopo l’introduzione della legge sul divorzio express voluta da
Zapatero, il tasso di divorzio si è impennato in modo violento, raggiungendo i
più alti d’Europa (2,2 per 1.000 abitanti) insieme con Belgio, Germania e
altri. L’Italia è riuscita fino a oggi a mantenere tassi di divorzio molto
bassi (0,9 nel 2011). Ma il divorzio è
un bene o un male? Perché se è un
bene, allora avanti tutta. Ma se è un male, perché permettiamo che passino
legislazioni chiaramente in grado di incrementare senza controllo il numero dei
divorzi? Un segnale forte, prima che la discussione passi al Senato,
potrebbe dunque essere quello di minacciare l’uscita dal Concordato. La chiesa
cattolica potrebbe così ottenere un ripensamento da parte del Parlamento,
oppure, in caso di approvazione della legge, mettere quantomeno in salvo l’istituto
giuridico del matrimonio cristiano evidenziandone la sua natura differente da
quella del matrimonio civile. Paesi avanzatissimi tra cui Svezia e Stati Uniti,
dopo aver negli anni scorsi agevolato in ogni modo la strada del divorzio,
stanno ora affrontando le conseguenze sociali della dissoluzione della
famiglia, e hanno dovuto fare precipitosamente marcia indietro prevedendo nelle
loro legislazioni il “covenant marriage”, cioè il matrimonio indissolubile
civile, preceduto da una adeguata formazione dei nubendi. Esattamente ciò che
la chiesa fa da duemila anni. Forse siamo in tempo per saltare i passaggi e
giungere direttamente alle conclusioni, proponendo alle coppie che lo vogliono
un matrimonio davvero indissolubile e lasciando – a chi non ci crede – la
possibilità di far ciò che gli pare. Forse
così – tra fecondazione eterologa e legge sull’omofobia, tra matrimonio gay e
proposte di legge sull’eutanasia – potremo tentare di salvare il tessuto
sociale italiano dall’ennesimo strappo.
Il problema, e la domanda di cui conosco la
risposta, è: oggi la Chiesa è capace e volenterosa di difendere l’istituto
matrimoniale? Crede Essa stessa nell’indissolubilità del matrimonio? Crede
ancora che il divorzio sia un male, contrario alla legge di Dio, da evitare e respingere?
Forse no, vista la confusione volutamente scatenata, sull’ammissione alla
Comunione dei divorziati risposati. La Chiesa, come spesso accade da qualche
tempo, segue sempre – e in ritardo – le strade imboccate dal mondo. Cerca
disperatamente di acquisire credibilità di fronte ad esso assumendo le stesse
categorie concettuali. Tradendo così il suo Divin Fondatore, oltre che ogni
sana razionalità. Il divorzio è un bene o un male? C’è qualche prelato, Papa
compreso, che ha la capacità, la voglia e il coraggio, di dirlo forte e chiaro?
Che senso ha crederlo e tacerlo, in nome di un’ipocrita laicità? Che ci stiamo
a fare se non possiamo e dobbiamo partecipare alla vita politica? Che ci stiamo
a fare se dobbiamo soltanto applaudire i dittatori di turno, sperando che siano
un po’ clementi verso di noi, solo perché non denunciamo la loro follia? Sono
certo che nessun grido si alzerà dalle stanze vaticane. Ci sarà, al massimo,
qualche strigliata di facciata. Inutile. Buona solo per tranquillizzare i
pavidi. Siamo in guerra e la stiamo perdendo malamente. L’ammutinamento è
evidente. Chissà, forse fra qualche decennio qualcuno avrà il coraggio di
parlare di nuovi silenzi del Papa e di scriverci una mole impressionante di
libri. Chissà. Almeno stavolta avrebbero ragione.
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