Forma
Ordinaria del Rito Romano
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
[Gv 3,16-18]
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
[Gv 3,16-18]
Forma
Straordinaria del Rito Romano
Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la
vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me
vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che
mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in
eterno». Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao.
[Gv 6,56-59]
[Gv 6,56-59]
«In verità, in verità io vi dico:
se non mangiate la carne del
Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita».
Ergo deduco che chi non mangia questa carne non avrà la vita. Ergo non avere la
vita significa morire. Ergo chi non mangia questa carne muore. Ora qualcuno
abbia il coraggio di spiegarmi com’è possibile sostenere evangelicamente la
tesi che tutti si salvano, visto che non tutti mangiano di questo corpo.
Quante volte ci preoccupiamo più
del pane quotidiano e non di quello celeste? Quante volte pensiamo più a
riempirci lo stomaco e non a nutrire l’anima? Quante volte il nutrimento per
l’anima viene visto come un refuso del passato, da pie vecchiette con il velo,
che bisogna superare quanto prima per impegnarci a fare di questo mondo un
paradiso? L’intenzione sarà anche lodevole, non è da escludersi, ma non è
certamente evangelica. Ci si riempie la bocca di parole, citando la Parola, ma
poi si ignorano questi passaggi essenziali, queste parole di vita eterna per
eccellenza. Non che le altre siano da ignorare, ma non bisogna sceglierne solo
alcune a proprio piacimento, ma prenderle tutte, a proprio vantaggio. Anche se
può far male, anche se costa la nostra conversione. Eppure noi cattolici maturi
contemporanei abbiamo la convinzione che davanti a Dio e alla Chiesa godiamo di
diritti, tali da rivendicare per accostarci al Santissimo Sacramento. Diritti
che se non vengono riconosciuti è perché è una chiesa maschilista, bigotta,
ancorata a una mentalità retrograda, che non ode la brezza primaverile dello
spirito, eccetera. Se l’autorità ecclesiastica cede (e come se cede!) non si è
mai contenti e si continua a chiedere sempre di più. Questa è, qualora ce ne
fosse bisogno, la dimostrazione del fallimento educativo cattolico degli ultimi
decenni. Non parlo di fallimento dottrinale perché implicherebbe conseguenze
serie e gravi, ma è indubbio che qualche difficoltà, dottrinale, oggi ci sia. E
andrebbe risolta. Solo che dire la verità oggi fa paura. Non so se più per viltà
del clero o perché hanno perso la fede. Probabilmente entrambi. Tanto che oggi
quello che conta è quanti si è a strillare. Pretendendo di avere diritti sono
sorti dei sindacati che, con le stesse prerogative laiche, pretendono di
ottenere dal padrone (la chiesa) ciò che essa ingiustamente gli vieta. Ecco
allora lettere al Papa per rimuovere il celibato, ecco allora pressioni
mediatiche per ridiscutere il primato petrino, ecco allora titoloni sui
giornali – anche e soprattutto sedicenti cattolici – perché la Chiesa si
aggiorni, cambi registro, si apra al mondo, eccetera. Eppure sono decenni che
si aggiorna e si apre per far entrare il mondo. Il mondo vi è entrato, i
cattolici sono usciti per diventare tutt’altro, e la chiesa è rimasta
miseramente vuota. Vuota anche del Suo Signore, eliminato dal posto d’onore
all’interno della sua casa. La follia clericale ha inventato delle idiozie che
a riferirle a una persona sana di mente verrebbe da ridere per la loro pochezza
logica e teologica per giustificare la detronizzazione del Re dei re dal posto
che gli spetta. Ecco allora chiese vuote e un clero con la pancia e la bocca
piena di parole che non saziano né la pancia né il cuore dei fedeli. Un clero
che rinuncia all’adorazione, a rendere al Suo Signore quello che è del Suo
Signore, è un clero fallimentare. E anche nel peggiore dei modi. Servirebbe
un’autorità che richiamasse all’ordine e punisse ogni tradimento. Ma l’autorità
oggi è impegnata a cinguettare con chi non crede, a scandalizzare quei
pochissimi che ancora credono e a far di tutto perché non si faccia come si è
sempre fatto (anche negli ultimi decenni di totale disobbedienza).
Bisogna ripartire da lì, da quel
piccolo pezzo di pane consacrato e da quella piccola goccia di vino consacrata.
In quel poco, in quel niente, c’è tutto. Inginocchiarsi è poca cosa è vero, ma
battergli le mani davanti, prenderlo in mano o trattarlo come semplice cibo, è
il più grande crimine che si possa compiere. Poco cambia che possa avere il
placet di un’autorità che ha serie crisi di identità.
Bisogna ripartire da lì, da quanto Gesù Cristo ci ha
donato con il Suo Sommo Sacrificio. Tutto il resto è paglia, che puzza di
zolfo.
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