Propongo alla
lettura questa storia. È breve ma aderente perfettamente alla realtà. È tratta
dal libro Satire clericali di Maria
Antonietta ed Emilio Biagini (edizioni Fede&Cultura). Nella sua semplicità
è tremendamente chiara e capace, per chi ancora ne avesse bisogno, di
illuminare il nostro sguardo sulle macerie della Chiesa cattolica.
L’ACCOGLIENZA FRATERNA,
OVVERO
IL “PASTORE” DI TUTTI
OVVERO
IL “PASTORE” DI TUTTI
Il pastore confidava nell’uomo,
cioè in se stesso, e aveva deciso: basta con le discriminazioni, basta con gli
steccati, siamo tutti fratelli, perbacco. Prese quindi la parola al concilio
del gregge e parlò di pace e di fratellanza:
“Fratelli, un’ora nuova si
annuncia per il nostro gregge. Qui fuori ci sono tanti poveri lupi macilenti
che vagano affamati. Non dobbiamo forse noi, in spirito di fratellanza,
pensare anche a loro? Non dobbiamo noi amarli e assisterli come nostro
prossimo? Non dobbiamo calarci in uno spirito diverso da quello che ci ha
finora animato: uno spirito più buono e aperto? Infatti, chi siamo noi per
giudicare? Dobbiamo aprirci alla cultura dell’accoglienza, al rispetto del
diverso, alla pace con tutti, pace, paace, paaace, paaaaace...”
Le pecore si guardarono sgomente;
una osò belare:
“Beeeee, ma pastore, i lupi sono
sempre stati nostri nemici; divoreranno noi e i nostri agnelli. Hanno zanne
aguzze e mangiano carne, noi mangiamo l’erba. Non sarebbe il caso piuttosto di
andare a cercare quelle di noi che si sono smarrite fuori dell’ovile, prima che
quelli se le mangino? Se apriamo gli steccati sarà la nostra fine, altro che
salvare quelle che stanno fuori.”
Anche i cani protestarono
abbaiando:
“Arf, arf, arf, quelle belve le
abbiamo sempre combattute e loro ci hanno sempre combattuto. Cos’è questa
nuova dottrina? Significa forse che tanti dei nostri, morti per difendere le
pecore e gli agnelli, si sono sacrificati invano? Il sangue dei martiri non
conta più nulla?”
“Ma,” ribattè il pastore, per
nulla impressionato dalle proteste, “voi cani siete dello stesso ceppo dei
lupi: essi sono vostri fratelli e dovete accettarli. Non vogliamo mica
continuare con gli steccati e le divisioni, vero?”
Qualche lupo infiltrato nell’ovile
si incaricò, sottovoce, di persuadere i cani:
“Il pastore ha ragione,”
sussurrava uno.
“Finalmente è uno che confida
nell’uomo, nelle sue capacità, nel suo discernimento,” mormorava un altro
nell’orecchio del cane più vicino.
“Basta con il vecchiume del
passato,” aggiungeva un terzo, “forse andava bene prima, ma i tempi sono
cambiati.”
“I tempi,” insinuava un quarto,
“sono maturi per un nuovo spirito di fratellanza.”
“Vedrai che non succederà nulla,”
prometteva un quinto al cane più vicino, “e vivremo tutti felici e contenti.”
Ma quello era un cane refrattario
alle chiacchiere: rispose con un ringhio e si mise a guardarsi intorno per
vedere se c’erano altri cani che la pensavano come lui.
“Il sole risplende su tutti, la
pioggia bagna tutti, siamo tutti fratelli;” insisteva il pastore, con voce
soave “non è più tempo di imbracciare l’arma della severità, occorre usare la
medicina della misericordia.”
Era tanto buono il pastore, tanto
persuasivo. Non c’era mai stato un pastore così buono, tanto che lo chiamavano
il “pastore buono”. Finirono per credergli, non tutti ma quasi tutti. Abbattuti
gli steccati, venne costruito un ponticello per superare il fiumiciattolo che
difendeva l’ovile arroccato sulla riva sinistra.
I lupi non credevano ai propri
occhi. Entrarono in massa e dapprima non riuscirono a persuadersi della propria
fortuna. Poi si misero alacremente a sbranare e a divorare le pecore e gli
agnelli. Anche molti cani, vista la piega degli avvenimenti, si unirono al
massacro.
“Ma fratelli, non è questo che
intendevo,” protestava debolmente il pastore, “non sono stato capito.”
Mentre la strage procedeva e il
sangue scorreva a fiumi, i lupi circondarono il pastore, che si lamentava:
“Ohimè, credevo che il gregge non
avesse più nemici. Credevo che spuntasse un’alba radiosa, e invece è venuta una
giornata di tempesta. Ahi, ahi, ahi, ahi,” concluse mentre un lupo gli
azzannava le terga.
Frattanto un piccolo gruppo di
cani refrattari alle chiacchiere e istintivamente sospettosi di tutto ciò che
sapeva di imbroglio buonista, radunate quante più pecore e agnelli poterono,
condussero i resti del gregge al sicuro su una vicina collinetta, aprendosi a
morsi e zampate la strada fra i lupi. Di lì presero a meditare la riscossa in
attesa di un pastore che non confidasse nell’uomo, cioè nel suo misero io.
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