Uno dei dati che i vaticanisti e molti “attenti” osservatori registrano
è quello che viene definito l’”effetto Bergoglio” (qui
e qui).
Cioè il fatto che, dopo l’elezione di
Francesco (ma probabilmente più che altro si vuole sottolineare dopo l’abdicazione di Benedetto XVI) molte
persone si sono riavvicinate alla Chiesa e, soprattutto, al confessionale. Ci
sono alcune considerazioni da fare. Innanzitutto ci verrebbe da domandarci se
ci sono statistiche credibili che dimostrino i presunti danni fatti da
Ratzinger nel suo pontificato. Dopodiché sarebbe da domandare a questi
entusiasti se considerino la Chiesa per quello che è o, piuttosto, come una
multinazionale. Perché solo in questo secondo caso hanno senso queste
statistiche numeriche. Infatti, siccome questi “specialisti” delle cose sacre
stanno fuori dai confessionali, non sanno cosa succede all’interno. Oltre a non
saperlo pare loro non importare e, peggio, non ritenerlo rilevante. Se molti
entrano in una libreria, ma non comprano nessun libro, possiamo dire che sono
in aumento le persone che leggono o che è in aumento il fatturato dell’editoria?
Perché è esattamente questo il sistema di valutazione. Ora, ovviamente, nemmeno
io sto nei confessionali (se non in ginocchio come penitente), ma leggendo e
ascoltando le “confessioni” di alcuni confessori i sospetti che le statistiche
di certi esperti siano quantomeno faziose, ipocrite e infondate viene.
Soprattutto se da un anno a questa parte, probabilmente suo malgrado – almeno
spero -, assistiamo a un’esaltazione patetica, ridicola, delirante, pericolosa
e controproducente, della persona di Bergoglio e non tanto del Successore di
Pietro. Il consenso mediatico di Papa Francesco dovrebbe far riflettere
piuttosto che gioire. Perché più che un segno di diffusione del Cristianesimo è,
a mio avviso, il segnale di un grave problema. Infatti, la question del
consenso mediatico di Papa Francesco è legata al fatto che il mondo non si
sente interrogato da quello che il Pontefice dice di cattolico, ma si sente
benedetto a continuare nella propria condotta che tutto è tranne che cattolica.
In questo senso il decantato
aumento delle confessioni è tutto da dimostrare e, seppur fosse vero, potrebbe
piuttosto rivelarsi per l’esatto opposto di quello che si vuole far passare.
Infatti, basta leggere la riflessione di un sacerdote, oltretutto autorevole
studioso, quale padre Giovanni Cavalcoli o.p., per capire quale fondamento e
credibilità abbia tanto entusiasmo per questi numeri:
“Capita che
chi viene in confessionale si ritiene in dovere, forse aspettandosi la lode dal
confessore, di garantirgli di essersi comportato bene come farebbe un reo in
libertà vigilata che regolarmente va all’ufficio di polizia per dichiarare la
sua precedente buona condotta. Oppure ce chi scambia il confessionale per lo studio
di un avvocato, al quale denunciare torti subiti o per il gabinetto di uno
psicologo, al quale parlare delle proprie turbe emotive.
Altri sanno
certamente che il sacerdote dev’essere un consigliere e un consolatore della
sofferenza, per cui scambiano la confessione per un colloquio di direzione
spirituale, e allora succede che non parlano dei propri peccati, ma dei propri
“problemi”, magari cominciando a narrare la propria vita a partire da molti
anni addietro.
Quello che
soprattutto si nota, nell’attuale atmosfera di buonismo per cui si pensa di
essere comunque e sempre innocenti, benintenzionati e in grazia di Dio, è la
coscienza lassa, addormentata ovvero ottusa, drogata da una falsa teologia e
una falsa pastorale che insistono su di un falso concetto della misericordia
divina, sul fatto che ci salveremmo tutti, che l’inferno non esiste e che Dio
perdona sempre, anche chi non si pente.
Del resto di
cosa dovremmo pentirci se siamo tutti buoni? Dei due eccessi della coscienza,
lo scrupolo (un tempo molto diffuso) e la rilassatezza, oggi si incontrano
quasi sempre i rilassati, mentre gli scrupolosi, i perfezionisti e i rigoristi
sono pochissimi. Si tratta di uno spirito tipicamente protestante, che al
limite toglie ogni ragion d’essere allo stesso sacramento: “Dio è buono e
perdona: di che cosa dovrei pentirmi?”.
La tendenza
diffusa non è quella di esagerare la colpa ma di minimizzarla o addirittura di
negarla. Capita a volte che il fedele non accetti neppure la norma morale, per
esempio in campo sessuale, per cui evidentemente se la trasgredisce, non glie
ne importa nulla. Magari lo dice al confessore candidamente, ma anche con una
certa supponenza, quasi in tono di sfida. Ma comprensibilmente il confessore,
proponendogli di pentirsi, si sente opporre un rifiuto: “se non faccio del
male, di che dovrei pentirmi?”. Non riescono non vogliono cogliere
l’oggettività e l’universalità della legge morale o pensano di saperne di più
del prete o del Magistero della Chiesa. Qui ovviamente mancano persino i
presupposti per confessarsi.In questa atmosfera di buonismo e di soggettivismo,
molti non credono all’esistenza della cattiva intenzione e della cattiva
volontà, che pure sono costitutivi dell’essenza del peccato come materia della
confessione: la cosiddetta “piena avvertenza e deliberato consenso”. Non c’è il
falso o il cattivo; c’è solo il “diverso”. […] Insomma siamo in una situazione
di grande confusione ed ignoranza. La mia impressione è che questi penitenti
non siano curati dai loro confessori. Qua e là sono evidenti gli influssi
criptoprotestanti, soprattutto riguardo alla tendenza buonista e
“misericordista”, se così posso esprimermi.”
[padre G.
Cavalcoli – Considerazioni sul sacramento della Penitenza in Liturgia
culmen et fons, dicembre 2013]
Capiamo
quindi che, qui come altrove, molto – troppo – di quello che i media dicono di
papa Francesco, è superficiale e strumentale.
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