L’anno solare inizia
con l’inverno. Ma la vita di ognuno non inizia sempre con una stagione
definita. Però potremmo dire che l’estate rappresenta meglio gli inizi di ogni
cosa. Perché c’è la luce, c’è l’entusiasmo degli inizi, la spensieratezza del
riposo, il coraggio di osare e tante altre cose che altre stagioni non hanno.
Nella vita quando si inizia qualcosa viviamo sempre, anche nelle cose più dure,
con un alone di speranza addosso. Perché anche ciò che non conosciamo, proprio
perché ci è ignoto, ci induce intimamente a sperare che sia bello, o almeno
meno peggio di ogni pessimistica previsione. Iniziare è il tempo degli
entusiasmi, dei progetti mandati al macero della vitalità di ciò che si sta
vivendo. Ogni calcolo rimandato: l’importante è esserci e vivere. È
l’esplosione dell’energia, del calore, della passione; di quella passione che
non conosce limiti e rischia di bruciare e consumare, come il sole la pelle dei
bagnanti in riva al mare. Questa è la stagione della gioia, delle vacanze, del
riposo, di quel riposo che si spende faticando di più per costruire una gioia.
Viviamo a volte in maniera così sballata che crediamo che la vita vera sia solo
una e che tutte le altre stagioni siano lì a corollario, in preparazione o ad
allontanarci, da quella che abbiamo stabilito essere tale. È una visione
stagionocentrica che incanala tutte le energie in un’unica direzione e che
distoglie lo sguardo da tutto ciò che intorno c’è anche quando non è estate.
Tre quarti della nostra vita li viviamo con l’ansia di consumare gagliardamente
una stagione e gli altri li passiamo a rimpiangere e/o rimuginare su quanto si
è fatto.
Segue l’autunno, che
è la stagione della nostalgia. Del ritorno alla normalità, alla quotidianità. È
la stagione dei i ricordi. È la stagione dello smaltimento degli eccessi, della
quiete, del recupero delle energie spese. È la stagione dei bilanci e dello
sguardo triste perché si è coscienti che a prima o poi arriverà l’inverno. È
una stagione di transizione, e come tale la consideriamo di passaggio, meno
importante, quasi da buttare. L’autunno è il tempo della preparazione ad un
inverno freddo e duro da vivere, in cui tutto, anche il clima, nega la stagione
dell’estate, quella che meglio esprime la nostra esistenza. L’autunno è il
tempo delle sfumature, dei colori pennellati e non gridati, sussurrati. È la
stagione di una bellezza commovente che spesso trascuriamo perché con la testa
a pensare all’estate trascorsa o a quella ventura. È una delle stagioni dei
romantici, di chi sa sognare, di chi sa amare anche il venir meno delle
energie. Ama chi ama tutto, anche il trascorrere del tempo, di un tempo così
esigente che non lascia scampo e che reclama il suo anche alla natura. Le
foglie scolorite, i viali ricolmi di fogli che hanno abbandonato il loro legame
con il proprio albero e che lentamente si avvicinano ad una terra che le
ammasserà le une con le altre fino a farle sparire in una terra di nessuno in
cui nessuno si ricorderà di loro. È un tempo di passaggio, tra due stagioni
forti, ma che, a differenza della primavera che apre le porte alla speranza di
una nuova stagione, l’autunno le chiude e si avvia ai titoli di cosa
dell’inverno.
L’inverno è la stagione in cui
il tempo si ferma, in cui i colori svaniscono e l’esistenza è ridotta ad un
triste bianco e nero. Fa freddo, si gela, si fugge in casa o in un posto caldo
e si evita la natura che in questo periodo sa essere dura, quasi cattiva. È una
stagione climaticamente ostile, che ci spaventa per la sua freddezza, per la
sua distanza. Ma è anche la stagione in cui si possono scoprire calori umani e
non della natura. Attorno allo scoppiettare delle scintille del legno che si
consuma in un camino, ci si sente più vicino. Questa è la stagione della
vicinanza fisica, del calore umano. In estate è meglio essere distanti per non
soffocare, questo è il tempo in cui si ha bisogno di stare vicini per
sopravvivere. Lo sguardo si posa sulle finestre rigate e rugate da un forte
temporale e anche la vista della nostra vita è filtrata da quel vetro che dà
un’immagine distorta. In questo tempo le tristezze aumentano, gli entusiasmi
scemano e i bilanci, complice anche la fine dell’anno solare, sono quasi sempre
al ribasso. Questo perché la nostra mente è tarata su livelli assurdi e/o
perché valutiamo il tutto su un’unica stagione - quella estiva - che è così lontana che il nostro umore l’ha
scordata e i ricordi fanno parte solo della memoria. È il tempo della morte, di
una natura che si spegne e anche l’assenza dei colori sta lì a ricordarcelo. È
il tempo della fatica, della rigidità della temperatura, della privazione di
tanti paesaggi e dell’impossibilità di praticare tante cose che nelle altre
stagioni è possibile fare. In inverno ci si sente limitati, quasi soffocati, le
potenzialità restano inespresse e si inizia ad accumulare energia per la
prossima esplosiva stagione di luce, con il rischio di implodere o di
esplodere senza lasciare segno.
Ma poi torna la primavera e gli
innamorati trovano speranze anche laddove non ci sono. La natura si risveglia,
i fiori riprendono odore e i paesaggi riacquistano colore. È un esplodere di
luce, di emozioni, di ricordi dimenticati. È il tempo in cui tutto ciò che non
si potuto fare nel periodo precedente si riprende a fare. È il tempo in cui si
ha fretta di uscire, di temperature miti, e si rischia di prendersi qualche
malanno per l’eccesso di voglia di fare. È un tempo suggestivo, carico di
suoni, odori e colori, che la natura stessa non sa di possedere. È un tempo
magico, forse mitico, in cui il tempo si sospende per lasciare lo spazio
all’eternità. È il tempo delle promesse, degli amori assicurati e poi magari
traditi alla prima estate, è il tempo in cui ricordi e speranze, sguardi sul
passato e sul futuro, trovano l’accordo in un pacato e rilassato presente. È il
tempo del presente, di un passato da dimenticare e di un futuro troppo lontano
per potersene subito preoccupare. È il tempo dei sogni, dei sogni riusciti,
delle porte che si aprono e delle finestre dalle quali si lascia entrare il
soffio leggero di un vento venuto a cambiare l’aria stagna di un inverno troppo
chiuso. È una stagione, forse, delle esagerazioni e degli stereotipi, in cui
tutto è per sempre, in cui tutto va bene, in cui il passato nei ricordi e nei
racconti è sempre peggiore di quello che è stato e il futuro ha tutte le
possibilità per essere il migliore. È un tempo atemporale, in cui gli agganci
con la realtà sono per lo più immaginati. È un tempo pieno di colori sui quali
si rischia di scivolare perché l’acqua è così pulita e pura, complice il rigido
inverno, e non si distingue il vero dal riflesso.
La vita di ogni uomo contempla
tutte le stagioni. Non sappiamo in quale nasciamo né in quale moriremo. Non
siamo noi a disporre i tempi del nascere e del morire, per quanto in tutto e
per tutto proviamo a sostituirci al naturale corso delle cose. Non siamo noi a
stabilire quando deve piovere e quando c’è il sole. Possiamo scorgere il cielo
e capire, possiamo maturare l’esperienza di una ciclicità nella natura e su
questa differenziare le nostre coltivazioni. Ma non possiamo nemmeno essere
certi che il tutto funzioni. Perché la pioggia può essere troppa, e distruggere
tutto, o troppo poca, e far seccare tutto. Il sole può essere troppo, e secca
tutto, o troppo poco, e non cresce niente.
Certo che non possiamo però sottrarci
all’esistenza. Non possiamo rinunciare a piantare, seminare, lavorare e
faticare. Perché senza il nostro lavoro non cresce niente. Se nessuno semina
nessuno raccoglie. Si può fallire, forse è anche il più delle volte, ma bisogna
provare. Non ciecamente affidandosi al caso, all’istinto, alle passioni o alla
testardaggine. Ma con l’umiltà di chi sa riconoscere che le cose non dipendono
da noi per quanto passano per le nostre mani.
E non sappiamo nemmeno quanto le
stagioni durano. Sappiamo che dopo l’inverno c’è la primavera, ma quanto
l’inverno duri non è dato saperlo. E che la primavera duri almeno tanto quanto
l’inverno è una presunzione nostra, non un diritto stabilito da qualche divino
concistoro.
E allora la vita, con il
variegato panorama di sensazioni, emozioni e ragioni che il mutar delle
stagioni ci propone, è un continuo mutare per rimanere sempre la nostra
splendida vita. Che sia estate, autunno, inverno o primavera, non sprechiamo la
vita nei ricordi, nei rimorsi o nei rimpianti. La vita passa, scorre come la
sabbia di una clessidra, e non la si può fermare. Per tanti aspetti non la si
può nemmeno mutare. Però si può scegliere se farsela scivolare addosso
indifferenti o alzando lacrime, pugni e invettive al cielo perché essa è sempre
diversa da come la vorremmo e, onestamente, la meriteremmo. La vita non è solo
quello che uno fa e nemmeno quello che uno è.
Non so cosa sia la vita, ma so
che va vissuta. So che spesso sembra non avere senso. So che non è un prodotto
con la data di scadenza, ma so altrettanto che prima o poi finisce. Che ci sia
una folla o solo uno a chiedermene ragione, so che voglio vivere la mia vita.
La mia, non quella di un altro. Una vita in cui forse ci sono più inverni che
primavere, per quanto il mio giudizio si ferma all’oggi, non al domani, ma che
è sempre la mia vita. Una vita in cui piango, soffro e rido, quasi sempre in
disaccordo con le risa e le urla del mondo. Un mondo che va sempre in direzione
opposta alla mia e che spesso mi ignora perché non capisce perché io vada in
un’altra direzione. Io vado per la mia strada, che sia solo o accompagnato da
altri. Vedo cose che altri non vedono e sento cose che altri non sentono. Non
vedo cose che altri vedono e non sento cose che altri sentono.
La vita è tante cose e non la si
può possedere, così come lei non possiede noi che stiamo qui e lì a discettare
di lei.
La vita è quello che deve essere
e la cosa migliore che uno ne possa fare, pur con tutti gli sbagli, le
scommesse perse, i fallimenti, le sofferenze e le lacrime versate, è avere la
consapevolezza di esserci stati e di aver vissuto. E non di aver assistito a
uno spettacolo che, per quanto bello, ci ha visti relegati tra il pubblico e
non sul palco tra i protagonisti.
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