lunedì 17 febbraio 2014

Le stagioni della vita


L’anno solare inizia con l’inverno. Ma la vita di ognuno non inizia sempre con una stagione definita. Però potremmo dire che l’estate rappresenta meglio gli inizi di ogni cosa. Perché c’è la luce, c’è l’entusiasmo degli inizi, la spensieratezza del riposo, il coraggio di osare e tante altre cose che altre stagioni non hanno. Nella vita quando si inizia qualcosa viviamo sempre, anche nelle cose più dure, con un alone di speranza addosso. Perché anche ciò che non conosciamo, proprio perché ci è ignoto, ci induce intimamente a sperare che sia bello, o almeno meno peggio di ogni pessimistica previsione. Iniziare è il tempo degli entusiasmi, dei progetti mandati al macero della vitalità di ciò che si sta vivendo. Ogni calcolo rimandato: l’importante è esserci e vivere. È l’esplosione dell’energia, del calore, della passione; di quella passione che non conosce limiti e rischia di bruciare e consumare, come il sole la pelle dei bagnanti in riva al mare. Questa è la stagione della gioia, delle vacanze, del riposo, di quel riposo che si spende faticando di più per costruire una gioia. Viviamo a volte in maniera così sballata che crediamo che la vita vera sia solo una e che tutte le altre stagioni siano lì a corollario, in preparazione o ad allontanarci, da quella che abbiamo stabilito essere tale. È una visione stagionocentrica che incanala tutte le energie in un’unica direzione e che distoglie lo sguardo da tutto ciò che intorno c’è anche quando non è estate. Tre quarti della nostra vita li viviamo con l’ansia di consumare gagliardamente una stagione e gli altri li passiamo a rimpiangere e/o rimuginare su quanto si è fatto.

Segue l’autunno, che è la stagione della nostalgia. Del ritorno alla normalità, alla quotidianità. È la stagione dei i ricordi. È la stagione dello smaltimento degli eccessi, della quiete, del recupero delle energie spese. È la stagione dei bilanci e dello sguardo triste perché si è coscienti che a prima o poi arriverà l’inverno. È una stagione di transizione, e come tale la consideriamo di passaggio, meno importante, quasi da buttare. L’autunno è il tempo della preparazione ad un inverno freddo e duro da vivere, in cui tutto, anche il clima, nega la stagione dell’estate, quella che meglio esprime la nostra esistenza. L’autunno è il tempo delle sfumature, dei colori pennellati e non gridati, sussurrati. È la stagione di una bellezza commovente che spesso trascuriamo perché con la testa a pensare all’estate trascorsa o a quella ventura. È una delle stagioni dei romantici, di chi sa sognare, di chi sa amare anche il venir meno delle energie. Ama chi ama tutto, anche il trascorrere del tempo, di un tempo così esigente che non lascia scampo e che reclama il suo anche alla natura. Le foglie scolorite, i viali ricolmi di fogli che hanno abbandonato il loro legame con il proprio albero e che lentamente si avvicinano ad una terra che le ammasserà le une con le altre fino a farle sparire in una terra di nessuno in cui nessuno si ricorderà di loro. È un tempo di passaggio, tra due stagioni forti, ma che, a differenza della primavera che apre le porte alla speranza di una nuova stagione, l’autunno le chiude e si avvia ai titoli di cosa dell’inverno.
L’inverno è la stagione in cui il tempo si ferma, in cui i colori svaniscono e l’esistenza è ridotta ad un triste bianco e nero. Fa freddo, si gela, si fugge in casa o in un posto caldo e si evita la natura che in questo periodo sa essere dura, quasi cattiva. È una stagione climaticamente ostile, che ci spaventa per la sua freddezza, per la sua distanza. Ma è anche la stagione in cui si possono scoprire calori umani e non della natura. Attorno allo scoppiettare delle scintille del legno che si consuma in un camino, ci si sente più vicino. Questa è la stagione della vicinanza fisica, del calore umano. In estate è meglio essere distanti per non soffocare, questo è il tempo in cui si ha bisogno di stare vicini per sopravvivere. Lo sguardo si posa sulle finestre rigate e rugate da un forte temporale e anche la vista della nostra vita è filtrata da quel vetro che dà un’immagine distorta. In questo tempo le tristezze aumentano, gli entusiasmi scemano e i bilanci, complice anche la fine dell’anno solare, sono quasi sempre al ribasso. Questo perché la nostra mente è tarata su livelli assurdi e/o perché valutiamo il tutto su un’unica stagione - quella estiva -  che è così lontana che il nostro umore l’ha scordata e i ricordi fanno parte solo della memoria. È il tempo della morte, di una natura che si spegne e anche l’assenza dei colori sta lì a ricordarcelo. È il tempo della fatica, della rigidità della temperatura, della privazione di tanti paesaggi e dell’impossibilità di praticare tante cose che nelle altre stagioni è possibile fare. In inverno ci si sente limitati, quasi soffocati, le potenzialità restano inespresse e si inizia ad accumulare energia per la prossima esplosiva stagione di luce, con il rischio di implodere o di esplodere senza lasciare segno.

Ma poi torna la primavera e gli innamorati trovano speranze anche laddove non ci sono. La natura si risveglia, i fiori riprendono odore e i paesaggi riacquistano colore. È un esplodere di luce, di emozioni, di ricordi dimenticati. È il tempo in cui tutto ciò che non si potuto fare nel periodo precedente si riprende a fare. È il tempo in cui si ha fretta di uscire, di temperature miti, e si rischia di prendersi qualche malanno per l’eccesso di voglia di fare. È un tempo suggestivo, carico di suoni, odori e colori, che la natura stessa non sa di possedere. È un tempo magico, forse mitico, in cui il tempo si sospende per lasciare lo spazio all’eternità. È il tempo delle promesse, degli amori assicurati e poi magari traditi alla prima estate, è il tempo in cui ricordi e speranze, sguardi sul passato e sul futuro, trovano l’accordo in un pacato e rilassato presente. È il tempo del presente, di un passato da dimenticare e di un futuro troppo lontano per potersene subito preoccupare. È il tempo dei sogni, dei sogni riusciti, delle porte che si aprono e delle finestre dalle quali si lascia entrare il soffio leggero di un vento venuto a cambiare l’aria stagna di un inverno troppo chiuso. È una stagione, forse, delle esagerazioni e degli stereotipi, in cui tutto è per sempre, in cui tutto va bene, in cui il passato nei ricordi e nei racconti è sempre peggiore di quello che è stato e il futuro ha tutte le possibilità per essere il migliore. È un tempo atemporale, in cui gli agganci con la realtà sono per lo più immaginati. È un tempo pieno di colori sui quali si rischia di scivolare perché l’acqua è così pulita e pura, complice il rigido inverno, e non si distingue il vero dal riflesso.
La vita di ogni uomo contempla tutte le stagioni. Non sappiamo in quale nasciamo né in quale moriremo. Non siamo noi a disporre i tempi del nascere e del morire, per quanto in tutto e per tutto proviamo a sostituirci al naturale corso delle cose. Non siamo noi a stabilire quando deve piovere e quando c’è il sole. Possiamo scorgere il cielo e capire, possiamo maturare l’esperienza di una ciclicità nella natura e su questa differenziare le nostre coltivazioni. Ma non possiamo nemmeno essere certi che il tutto funzioni. Perché la pioggia può essere troppa, e distruggere tutto, o troppo poca, e far seccare tutto. Il sole può essere troppo, e secca tutto, o troppo poco, e non cresce niente.
Certo che non possiamo però sottrarci all’esistenza. Non possiamo rinunciare a piantare, seminare, lavorare e faticare. Perché senza il nostro lavoro non cresce niente. Se nessuno semina nessuno raccoglie. Si può fallire, forse è anche il più delle volte, ma bisogna provare. Non ciecamente affidandosi al caso, all’istinto, alle passioni o alla testardaggine. Ma con l’umiltà di chi sa riconoscere che le cose non dipendono da noi per quanto passano per le nostre mani.
E non sappiamo nemmeno quanto le stagioni durano. Sappiamo che dopo l’inverno c’è la primavera, ma quanto l’inverno duri non è dato saperlo. E che la primavera duri almeno tanto quanto l’inverno è una presunzione nostra, non un diritto stabilito da qualche divino concistoro.
E allora la vita, con il variegato panorama di sensazioni, emozioni e ragioni che il mutar delle stagioni ci propone, è un continuo mutare per rimanere sempre la nostra splendida vita. Che sia estate, autunno, inverno o primavera, non sprechiamo la vita nei ricordi, nei rimorsi o nei rimpianti. La vita passa, scorre come la sabbia di una clessidra, e non la si può fermare. Per tanti aspetti non la si può nemmeno mutare. Però si può scegliere se farsela scivolare addosso indifferenti o alzando lacrime, pugni e invettive al cielo perché essa è sempre diversa da come la vorremmo e, onestamente, la meriteremmo. La vita non è solo quello che uno fa e nemmeno quello che uno è.
Non so cosa sia la vita, ma so che va vissuta. So che spesso sembra non avere senso. So che non è un prodotto con la data di scadenza, ma so altrettanto che prima o poi finisce. Che ci sia una folla o solo uno a chiedermene ragione, so che voglio vivere la mia vita. La mia, non quella di un altro. Una vita in cui forse ci sono più inverni che primavere, per quanto il mio giudizio si ferma all’oggi, non al domani, ma che è sempre la mia vita. Una vita in cui piango, soffro e rido, quasi sempre in disaccordo con le risa e le urla del mondo. Un mondo che va sempre in direzione opposta alla mia e che spesso mi ignora perché non capisce perché io vada in un’altra direzione. Io vado per la mia strada, che sia solo o accompagnato da altri. Vedo cose che altri non vedono e sento cose che altri non sentono. Non vedo cose che altri vedono e non sento cose che altri sentono.
La vita è tante cose e non la si può possedere, così come lei non possiede noi che stiamo qui e lì a discettare di lei.

La vita è quello che deve essere e la cosa migliore che uno ne possa fare, pur con tutti gli sbagli, le scommesse perse, i fallimenti, le sofferenze e le lacrime versate, è avere la consapevolezza di esserci stati e di aver vissuto. E non di aver assistito a uno spettacolo che, per quanto bello, ci ha visti relegati tra il pubblico e non sul palco tra i protagonisti.

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