Riporto questo estratto di Enrico Maria Radaelli, tratto dalla sua monografia su Romano Amerio
(Romano Amerio. Della verità e dell’amore) che ottimamente confronta le
due dottrine, quella tradizionale e quella ecumenista, sull’atteggiamento che
la Chiesa deve avere nei confronti del mondo. Da cinquant’anni è stato imposto
il diktat dell’apertura, dell’aggiornamento, della fratellanza, della pace,
fiducia, rispetto, onore, sostegno e benedizione del mondo (cfr Allocuzione
Paolo VI, 7 dicembre 1965). Stento a trovare buoni frutti in questi
atteggiamenti. Quando si prova a domandarne conto le risposte latitano e ci si
nasconde dietro a un dito di un dogma che dogma non è che e che se fosse tale
meriterebbe comunque una spiegazione logica, perché il Dogma vero, quello
cattolico, non è irrazionale, non è imposizione arbitraria di un assurdo.
Ripropongo questo estratto, che è del 2005, ma che ancora oggi è attuale ed
essenziale. Perché è di queste parole di fuoco, di verità, di amore, ciò di cui
oggi abbiamo disperato bisogno.
* * *
I
due modi per conquistare il mondo a Cristo
Nelle due dottrine, l’ecumenista e la tradizionale, si
pongono due opposte “politiche spirituali di annessione del mondo”, se così si
può dire, alla Chiesa.
L’una, pervadente tutta la cristianità da poco più di
sei lustri, mirerebbe ad annettere i pagani alla Chiesa (con grande ritrosia,
peraltro, sul proselitismo da compiere, per non dire di una sua proclamata e
ufficiale rinuncia di proselitismo)', in ogni caso, però, annettendoli così
come sono: non solo con le loro culture e le loro concezioni
e usanze, il che è capacità già strettamente peculiare al cattolicesimo; ma
anche con le loro religioni, tutte dichiarate oggi dalla Chiesa, e
massimamente dal Papa, religioni rispettabili, nemmeno più “pagane”, ma
piuttosto intrise di elementi salvifici per se stesse e in quanto
religioni. Siamo ancora al punto dell’identità l0. Questa strada
vuole stabilire nella Chiesa cattolica, nella voce potente e apparentemente
ascoltata del Papa, una superimparzialità, un prestigio e un punto di riferimento
mondiali, universali.
Tuttavia questa strada passa attraverso il molto
ambiguo “spirito d’Assisi”, l’ecumenico e annuale ammassamento di tutte le
religioni nel Pan theòn della città di san Francesco, dove si glorifica
la dignità dell’uomo secondo una deviata veduta immanentistica. Nello “spirito
d’Assisi” l’uomo sarebbe capace di esprimere la propria naturale bontà con
qualsiasi idea religiosa, e anche {persino!) irreligiosa, come nel caso
molto ambiguo del buddhismo.
E il Papato? Il Papato costituirebbe giusto l’autorità
che assisiaticamente protegge, afferma e difende come nessun’altra quest’idea magna
glorieggiante l’uomo, questa sua dignità per cui «/ ’uomo si rivela
gigante», come ebbe a dire Paolo VI. Il Papato si farebbe allora tutore
dell’uomo in tutta la molteplicità delle sue innumerevoli strade: della sua civiltà
in tutto l’assortimento orbeterracqueo, della sua storia nella
molteplicità dei suoi atti, del suo progresso poi, indirizzato
teilhardianamente al Verbo incarnato, al Cristo, «compimento dell’anelito»
e «unico e definitivo approdo» di ogni ricerca religiosa 11.
Il cardinale Carlo Maria Martini è esplicito: questo è il vero primato
del Papa.
Ma Iota unum, come abbiamo visto, discute e
critica l’idea di Chiesa esorbitante da sé insita nell’idea ecumenista,
idea per cui due enti pugnanti quali “mondo” e “Chiesa” verrebbero invece a
sovrapporsi in un comune sistema di valori - pace, uguaglianza, carità, libertà,
ragione, fraternità - dei quali si è persa la trascendenza d’origine (e la
verità della specificità cattolica che ne deriva), in un comune sentire tutto
mondano.
Allora ecco l’altra politica, quella enunciata nei
secoli da tutta la Chiesa e ora tenuta unicamente da qualche incorreggibile
tradizionista come Amerio. La Chiesa, secondo quest’altra concezione, cerca
certamente di incamerare tutti i popoli nell’unico Regno, ma solo attraverso
la tradizionale via educativa alla Verità, come alludemmo al nostro § 3, con il
già accennato riconoscimento che la Verità non è e non può essere umana -
giacché piuttosto, in un certo modo, tutto ciò che è solo umano potrebbe
oscurarne e confonderne la purezza -, e con l’altro riconoscimento: che la
Verità, per quanto infinita, è rivelabile da se stessa, storicamente,
solo in un certo modo, in un certo luogo, in un certo tempo, in un certo
Individuo. E questo Individuo è esclusivo. E questo Individuo (contro Teilhard,
De Lubac e i tanti loro odierni discepoli) è escludente: «Ecco egli è posto
[...] quale segno di contraddizione» (Luc., II, 34).
Questa strada è tutta contraria all’altra per due
ragioni. Primo: nel metodo, perché fondata su sicura umiltà e non su mondana e vana
gloria. Secondo: nella premessa, data la quale la verità, prima di essere storicamente
conoscibile, è eterna, e va perseguita nella vita terrena, a costo della
vita terrena. Questa è la strada eroica per cui la persona umana, nella sua
intelligenza, si piega a qualcosa di più alto di sé, all’Intelletto divino,
compiendo quel sommo sacrificio, propedeutico anche al sacrificio estremo della
vita, per il quale l’uomo piega la sua volontà avendo prima piegato il
proprio intelletto l2.
A questa teologia consegue una “visione politica” di
conquista delle anime fatta solo attraverso la conversione: cioè
l’umiliazione, il sacrificio, la perdita di sé, l’intima correzione,
l’abbandono delle primitive opinioni personali: tutte cose perseguibili
unicamente con il supporto soprannaturale della grazia e, di contro, sùbito
escludenti ogni relazione con qualsivoglia credenza religiosa - monoteista o
altro - che non sia l’unica rivelata da Dio in Gesù Cristo, suo unico Verbo.
Questa, per dirla in termini semplici, è la strada
della santità: strada, come già rilevò Amerio, «forma e principio dei
fattori di divisione nel mondo» 13. Su tale strada è da sempre
incamminata la Chiesa. Tale strada, se il Cristo suo capo è la via, e se capo e
Corpo mistico sono, come sono, un tutt’uno, è la stessa Chiesa.
Il mondo, viceversa, ne segue altre. Così anche le
credenze religiose. Queste altre strade comode, sorridenti, pacifiche,
“umane”, sono insicure, sono infide, sono anche cattive. Quando Amerio
sottolinea che la divisione dal mondo si ha a causa della santità, sotto- linea
(§ 56) la prospettiva evangelica per la quale il Cristo, il Verbo dottrinale,
non è stato accolto dal mondo, ma rifiutato: la sua santità non è accoglibile
dal mondo in quanto mondo. Né allora, né oggi, né mai.
Considerato tutto questo, è chiaro che solo la seconda
è, oltre che cattolica, una visione vincente, perché la prima che abbiamo visto
è concezione che fa forza su un prestigio papale appoggiato a verità di
passaggio: la religiosità dei popoli, la dignità umana, l’autocoscienza
dell'uomo. Tutte verità, queste, analoghe al punto finale cui aspirano: il Cristo
Omega di invenzione teilhardiana evocato in Tertio Millennio adveniente.
Il prestigio papale, lì, si universalizza nella speranza di condurre tutta l’umanità,
così com’è, col suo supposto carico di intrinseco «anelito religioso», a
quell’ «unico e definitivo approdo» costituito, come lì insegnato, dal
Cristo stesso.
Così come è trasognante questa generale palingenesi,
generata da un Cristo spogliato del più semplice dei princìpi dell’essere, lo «spavento
della contraddizione», così anche è vana la fabbrica, che ora vedremo più
da presso, di una Chiesa coincidente al mondo, e sobbarcantesi il mondo,
anch’essa defraudata del più specifico principio della Fede: della sua
sovrannaturalità, o santità, data dalla Trinità. La Trinità è la sua decisiva e
imprescindibile differenza. (Ma, riconoscendo per esempio un Dio anche
nei due monoteismi secchi, dov’è la differenza?).
La fede cristiana non nasce da altre “fedi”.
Non è approdo del loro “naturale” sviluppo (come pericolosamente
affermato anche dalla Tertio Millennio discussa in Stat verìtas).
Nasce piuttosto dalla loro abrogazione, dal loro rigetto: liberato dalle
idolatrie, l’uomo può così far posto alla Grazia, alla conversione, alla
Religione.
10 Nemmeno
il Documento Dominus Iesus ha corretto le correzioni conciliari sulla
Dottrina tenuta da sempre, perché vuole restare ancorato alle indistinzioni sui
documenti conciliari rilevate a suo tempo da Iota unum (v. c. XXXV: L'ecumenismo).
Anche le dichiarazioni più recenti del Santo Padre (Giovanni Paolo II) restano
al di qua della linea di demarcazione tradizionale. Dire «// riconoscimento
dello specifico patrimonio religioso di una società richiede il riconoscimento
dei simboli che lo qualificano» (Discorso alla Conferenza sul
dialogo interreligioso tenuta a Roma il 31 ottobre 2003), significa solo
stabilire che ogni insieme religioso avrebbe diritto al riconoscimento dei
propri simboli, senza dire che vi sono patrimoni religiosi veri e altri falsi.
Questa concezione è avallata dall’indistinzione delle religioni in una
generale religiosità. Forse bisognerebbe compiere invece tre distinzioni.
La prima sarebbe sull’origine della religione; la seconda sull’origine della
verità; la terza quella che separa le religioni dalla religiosità
dei singoli uomini, che è tutt’altro.
11 Giovanni paolo il, Tertio Millennio adveniente, 11 novembre 1994, § 6, pag. 11.
12 R. amerio, Stat veritas..., cit., chiosa 4111, pag. 23.
13 Ibidem, chiosa 38, pag. 102. Da qui la contrarietà di Amerio per il tomismo semiliberale di Maritain in Umanesimo integrale.
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