“La Chiesa non ha mai detto che le ingiustizie non possono o non devono
essere corrette; o che le condizioni della società non possono o non devono
essere rese più felici; o che non vale la pena di dedicarsi alle faccende
secolari e materiali; o che non è giusto promuovere le buone maniere,
diffondere il benessere o ridurre la violenza. Ha detto che non dobbiamo fare
affidamento sulla certezza che il benessere diventerà più diffuso o la
violenza più rara, come se ciò fosse un inevitabile movimento della società
verso un'umanità senza peccato, invece di essere, com'è, una condizione dell'umanità,
anche migliore, che però può essere seguita da una peggiore. Non dobbiamo
odiare l'umanità, o disprezzarla, o rifiutarci di soccorrerla, ma non dobbiamo
riporre in essa la nostra fiducia, nel senso di credere che un cambiamento nella
natura umana non può evolvere verso il male. «Non confidate nei principi né in
alcun figlio d'uomo. (Sal 146,3)»” [G. K. Chesterton – Il pozzo e le
pozzanghere]
I clero moderno, invece, fonda
le proprie certezze sulla sabbia della mondanità, delle cose del mondo, di quel
mondo cui la Chiesa dovrebbe a loro dire conformarsi, aggiornarsi e aprirsi.
Così facendo non lo salva, ma vi si adegua, tradendo brutalmente il comando di
Gesù Cristo.
L’impressione che si ricava è
che oggi nella Chiesa la preoccupazione sia di cambiare. Cambiare a prescindere
da cose e da come, l’importante è farlo. Condiziona davvero troppo l’idea che
il mondo ha della Chiesa. E l’assurdo sta nel fatto che l’idea della Chiesa che
preti, vescovi e vaticanisti compiacenti oggi vogliono cambiare, è un’idea di
Chiesa sballata che il mondo stesso si è costruita nei secoli. I cattolici che
hanno abbandonato le certezze dogmatiche, si ritrovano come sempre in ritardo sulle
fasi della storia. Pensano di vivere il “momento di Dio”, il tweet della
storia, eppure non capiscono che la Chiesa è nel mondo ma non è del mondo e che
tra Essa e il mondo corre una differenza sostanziale. Ignorate queste verità
sostanziali, perché le verità oggi sono solo quelle esperienziali, ci si adegua
alle mode (pur richiamando in continuazione il pericolo della mondanità). E cosa
c’è di più mondano del progresso, del cambiamento, dell’aggiornamento? Specie in
un epoca digitalizzata come la nostra dove i programmi dei pc sono aggiornati
in continuazione e dove si deve tenere sempre aggiornato il proprio profilo,
pena la morte sociale.
“Siamo tutti in qualche modo stancamente consapevoli del fatto che
qualche moderno uomo di chiesa chiama «progresso» questo continuo cambiamento;
è un po' come quando sottolineiamo che un cadavere brulicante di vermi ha una
vitalità in corso, o che il pupazzo di neve che si trasforma lentamente in
una pozzanghera si sta emendando delle sue protuberanze.” [G. K. Chesterton –
Il pozzo e le pozzanghere]
Il progresso in sé, solo perché
progresso, non è necessariamente buono. Oggi invece, rimbambiti come siamo
dalle categorie concettuali del mondo, non sappiamo distinguere ciò che è buono
da ciò che non lo è, non siamo più capaci, perché il fondamento di ogni nostra
azione è quello della mediaticità, dell’esserci nell’istante per poi sparire in
quello successivo. E sempre perché rifiutiamo con disgusto ogni verità
dottrinale e accettiamo solo quelle che la nostra esperienza convalida. Per cui
non è Dio che stabilisce ciò che è vero e falso e la Chiesa lo ratifica
annunciandolo al mondo, no!, siamo noi che stabiliamo il vero e il falso e
arriviamo all’assurdo filosofico che tutto è vero (ma allora perché non tutto è
falso?). Su questi binari ogni cosa deve mutare e adattarsi alle circostanze
che di volta in volta si presentano. Con questi fondamenti non c’è posto per
una verità eterna e immutabile. In questo panorama il dogma è una bestemmia e
l’esperienza, il momento, l’attimo è la sola categoria valida cui confrontarsi
e costruire. Ecco che, di conseguenza, la liturgia (espressione cultuale di ciò
che si crede) diventa il godimento dell’esperienza, la ritualità vien bandita,
la gestualità veicolata dall’emotività con l’assurda convinzione che quello che
ci si sente di fare, specie davanti a Dio, sia più legittimo e buono di ciò che
si deve fare. Abbiamo perso tante cose, non ultima anche la consapevolezza di
essere figli e come tali di dover ricevere un educazione da un padre (e una
madre). Oggi non è più così e laddove nel mondo civile la distinzione tra padre
e madre piano piano viene eliminata dal vocabolario e dalla legislatura, nel
mondo ecclesiale ognuno è padre e madre di se stesso. Nessuno può giudicare,
nessuno può indicarci cosa è bene o male fare, perché l’importante è esserci,
nell’istante in cui si celebra l’evento, e al diavolo secoli di Tradizione, di
ricerca teologica, dogmatica e liturgica. Tutto nel cesso di un tweet o di un
post.
L’edificio storico della Chiesa
è crollato in maniera evidente sotto l’assedio dei suoi eretici pastori. L’edificio
dottrinale non può mutare perché su di esso è impresso il sigillo dell’infallibilità.
I novelli eretici pastori vogliono tuttavia cambiare anche la dottrina (leggasi
in quei pochissimi siti e giornali dove se ne parla lo scontro tra il card.
Maradiaga e il card. Muller). Vedremo cosa si inventeranno e quanto miseramente
falliranno. La sostanza non verrà intaccata, ma con il bisturi della
pastoralità, così com’è da cinquant’anni, ci si arriverà a sfiorarla da vicino.
Le vittime non si conteranno, perché non interesserà a nessuno contarle, quel
che conta sarà l’effetto gagliardo che questa devastazione procurerà agli occhi
del mondo. Quando la Chiesa si ricorderà, perché è una verità dogmatica, che
Essa non deve chiedere niente a nessuno, ma solo al Suo Sposo, per gli uomini
di queste generazioni sarà troppo tardi. Se ce ne saranno, se Dio lo disporrà,
per le generazioni future sarà una stagione faticosa di ricostruzione. Ma sappiano,
e questo è il compito dei cattolici non ammodernati – oltre al dovere di
conservare la fede per salvare la propria anima -, che non dovranno inventare
niente di nuovo; l’ossessiva invenzione di verità, liturgie e strutture ha
portato allo sfascio nel quale si ritroveranno a vivere.
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