giovedì 12 dicembre 2013

Uno pensa che si voglia far le pulci a un eminentissimo cardinale di Santa Romana Chiesa; invece avendolo letto con attenzione, e dandogli importanza proprio perché eminentissimo cardinale di Santa Romana Chiesa, si rimane quantomeno perplessi di fronte a certe dichiarazioni. A differenza dei pecoroni (che dall’11 febbraio sono diventati tanti, troppi a dire il vero) io uso il cervello (magari male, ma invece che smentirmi sui fatti mi si sollecita a non usarlo) e quanto leggo contrasta non solo con la logica, ma soprattutto con la fede cattolica. L’eminentissimo porporato è il cardinal Christoph Schonborn, arcivescovo di Vienna, nel “discorso che ha tenuto martedì in Duomo a Milano, in oc­casione dell’incontro aperto a sacerdoti e col­laboratori laici della diocesi ambrosiana sul te­ma “la chiesa nella società secolarizzata”” e pubblicato sul Foglio di oggi. Egli dice che “la de­crescita dei cattolici a Vienna è drammati­ca. Siamo ormai sotto il quaranta per cen­to, e tra non molto arriveremo al trenta per cento. E questo per tre ragioni fondamen­tali: innanzitutto la demografia, che colpi­sce quasi tutte le confessioni religiose. In secondo luogo, un fenomeno sempre più diffuso è rappresentato dall’uscita civile dalla chiesa. Da noi, in Austria, basta anda­re da un magistrato e non sei più cattolico. Qualcuno lo fa perché non vuole più paga­re le tasse, altri perché già da tempo non partecipano alla vita della chiesa cattolica. Ogni anno perdiamo l’uno per cento di cat­tolici, gente che defeziona. Non dico che è apostasia, ma è drammatico. In dieci anni, con questo trend, avremo perso più del die­ci per cento di cattolici. Terza e ultima ra­gione, la continua perdita di prassi religio­sa, cui hanno contribuito anche i gravi scandali che hanno ferito molti fedeli.” Fa specie (ma forse nemmeno troppo guardando le due foto qui sotto) che Sua Eminenza ignori che la crisi della Chiesa e la decrescita dei cattolici sia dovuta al crollo della liturgia (lo diceva anche Benedetto XVI, ma finalmente ce lo siamo tolto di torno e ora va tutto bene).



Con un ars celebrandi del genere che cosa possono trovare di vero gli uomini. Che risposte possono dare i palloncini alle domande sull’esistenza, sul dolore, sul male e sull’amore? Nessuna risposta credibile, solo ridicoli palliativi, che strappano un sorriso all’istante, ma che poi lasciano un tremendo vuoto che può essere colmato solo dalla verità. Verità che i nostri santi pastori hanno barattato per l’indice di gradimento calcolato a suon di chitarre, battiti di mano, palloncini e trucchi da showman.

Prosegue il cardinale, proponendo questo metodo, sull’esempio – a suo dire - degli Atti degli Apostoli, per affrontare i problemi: “Hanno ascoltato l’esperien­za dell’uno e dell’altro. Il cristianesimo è una comunità di racconti, e penso che dob­biamo riscoprire il raccontarci a vicenda ciò che Dio fa nella nostra vita. E questo dà gioia. L’idea dell’accoglienza l’abbiamo tra­dotta nelle nostre assemblee diocesane.” La verità, il Dogma, i nostri pastori, l’abbiamo detto, l’hanno ceduta (a un prezzo anche ridicolo, non che ce ne fosse uno valido effettivamente) e non avendo più una verità da proporre, si vomitano addosso parole ed esperienze. La fede è un esperienza, la missione è un’esperienza, l’amore è un’esperienza, la liturgia – ovviamente non può mancare – è esperienza, la vita è esperienza. Un mantra questo impressionante. Sono convinto che venga recitato più questo rosario che quello intessuto di Ave, Pater e Gloria. Senza verità non ci sono soluzioni e le nostre esperienze, per quanto interessanti, ci lasciano nel vuoto della nostra pochezza. Solo una verità altra da noi, di Dio, può liberarci.

Nota di colore, a margine: “Questo cammino l’abbiamo messo sotto il titolo “Mission first”, perché oggi tutto si deve di­re in inglese.” Sono proprio di un’altra Chiesa: io sapevo (Giovanni XXIII, mica Leone XIII, docet) che la lingua della Chiesa è il latino. La lingua della liturgia è il latino (Concilio Vaticano II docet, mica Concilio di Trento). La lingua latina è la lingua del dogma, perché lo salva dalle interpretazioni, dalla mutevolezza della mondanità. Ah il mondo. Da cinquant’anni non lo dobbiamo più redimere, ma ascoltare e servire. Come se la redenzione non fosse il Servizio per eccellenza donatoci da Cristo Signore.

Il dramma della povertà del nostro clero è riassunta tutta qui: “Come fare per stare sulla strada della ve­rità? Avete avuto quel bellissimo incontro delle famiglie, qui a Milano. Che bella la gioia di una famiglia credente. Ma oggi la famiglia è patchwork, è una famiglia fatta di divorziati, risposati. E’ tutto complicato. Come siglare un’alleanza tra la verità che libera e salva e la misericordia? […] Io non so come trova­re il cammino giusto. […] Io non sono d’accordo, per niente d’accordo, con il cosiddetto matrimonio gay. Nonostante ciò, ci sono situa­zioni dove dobbiamo guardare prima di tutto alla persona.” Eminenza carissima, come indegno figlio di Santa Romana Chiesa le faccio presente che la più alta forma di carità è l’annuncio della Verità. Legga la Caritas in Veritate, la trova in tutte le librerie pseudocattoliche (di cattoliche credo ce ne siano pochissime), non è un testo manoscritto del XIII secolo conservato negli archivi segreti vaticani da quei perfidi monsignori non ancora epurati dal buon Papa Francesco, è un testo di qualche anno fa, di quel papa, Benedetto XVI, di cui lei si definisce figlio e allievo. Se non lo sa lei come trovare il cammino giusto, lo devo sapere io? Io ignobile pecora devo suggerire a lei, sacro pastore, qual è la via per condurmi fuori da questo baratro? Per cortesia, cari preti, vescovi e cardinali, fate gli uomini e anche al costo del martirio e dell’infamia mediatica, proponete la Dottrina della Chiesa. Essa è l’unica soluzione, solo quella riecheggia parole di vita eterna di evangelica memoria. A me, mi permetta, non me ne frega niente se lei è d’accordo o meno, delle opinioni personali ci faccio poco, io voglio la Verità. E se questa non me la date voi preti cattolici non la trovo da nessuna parte. Lei non deve essere non d’accordo, lei deve essere convinto che il matrimonio gay non è naturale e quindi sano. Lo deve gridare dai tetti (Mt 10, 27) e non ci sono “nonostante ciò” che tengano. Perché predicare la verità, compito dei cattolici (non solo praticarla), non è ignorare la persona. La persona la si ama dicendole la verità.


Però forse sarebbe da ricordare che la verità viene prima dell’amore. Ma se non c’è riuscito Romano Amerio con la sua denuncia della dislocazione della Divina Monotriade, chi sono io per redarguire un eminentissimo cardinale di Santa Romana Chiesa?

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