Uno pensa
che si voglia far le pulci a un eminentissimo cardinale di Santa Romana Chiesa;
invece avendolo letto con attenzione, e dandogli importanza proprio perché
eminentissimo cardinale di Santa Romana Chiesa, si rimane quantomeno perplessi
di fronte a certe dichiarazioni. A differenza dei pecoroni (che dall’11
febbraio sono diventati tanti, troppi a dire il vero) io uso il cervello
(magari male, ma invece che smentirmi sui fatti mi si sollecita a non usarlo) e
quanto leggo contrasta non solo con la logica, ma soprattutto con la fede
cattolica. L’eminentissimo porporato è il cardinal Christoph Schonborn,
arcivescovo di Vienna, nel “discorso che
ha tenuto martedì in Duomo a Milano, in occasione dell’incontro aperto a
sacerdoti e collaboratori laici della diocesi ambrosiana sul tema “la chiesa
nella società secolarizzata”” e pubblicato sul Foglio di oggi. Egli dice che
“la decrescita dei cattolici a Vienna è
drammatica. Siamo ormai sotto il quaranta per cento, e tra non molto
arriveremo al trenta per cento. E questo per tre ragioni fondamentali:
innanzitutto la demografia, che colpisce quasi tutte le confessioni religiose.
In secondo luogo, un fenomeno sempre più diffuso è rappresentato dall’uscita
civile dalla chiesa. Da noi, in Austria, basta andare da un magistrato e non
sei più cattolico. Qualcuno lo fa perché non vuole più pagare le tasse, altri
perché già da tempo non partecipano alla vita della chiesa cattolica. Ogni anno
perdiamo l’uno per cento di cattolici, gente che defeziona. Non dico che è
apostasia, ma è drammatico. In dieci anni, con questo trend, avremo perso più
del dieci per cento di cattolici. Terza e ultima ragione, la continua perdita
di prassi religiosa, cui hanno contribuito anche i gravi scandali che hanno
ferito molti fedeli.” Fa specie (ma forse nemmeno troppo guardando le due
foto qui sotto) che Sua Eminenza ignori che la crisi della Chiesa e la
decrescita dei cattolici sia dovuta al crollo della liturgia (lo diceva anche
Benedetto XVI, ma finalmente ce lo siamo tolto di torno e ora va tutto bene).
Con un ars celebrandi del genere che cosa possono
trovare di vero gli uomini. Che risposte possono dare i palloncini alle domande
sull’esistenza, sul dolore, sul male e sull’amore? Nessuna risposta credibile,
solo ridicoli palliativi, che strappano un sorriso all’istante, ma che poi
lasciano un tremendo vuoto che può essere colmato solo dalla verità. Verità che
i nostri santi pastori hanno barattato per l’indice di gradimento calcolato a
suon di chitarre, battiti di mano, palloncini e trucchi da showman.
Prosegue il cardinale, proponendo questo metodo,
sull’esempio – a suo dire - degli Atti degli Apostoli, per affrontare i
problemi: “Hanno ascoltato l’esperienza
dell’uno e dell’altro. Il cristianesimo è una comunità di racconti, e penso che
dobbiamo riscoprire il raccontarci a vicenda ciò che Dio fa nella nostra vita.
E questo dà gioia. L’idea dell’accoglienza l’abbiamo tradotta nelle nostre
assemblee diocesane.” La verità, il Dogma, i nostri pastori, l’abbiamo
detto, l’hanno ceduta (a un prezzo anche ridicolo, non che ce ne fosse uno
valido effettivamente) e non avendo più una verità da proporre, si vomitano
addosso parole ed esperienze. La fede è un esperienza, la missione è
un’esperienza, l’amore è un’esperienza, la liturgia – ovviamente non può
mancare – è esperienza, la vita è esperienza. Un mantra questo impressionante.
Sono convinto che venga recitato più questo rosario che quello intessuto di
Ave, Pater e Gloria. Senza verità non ci sono soluzioni e le nostre esperienze,
per quanto interessanti, ci lasciano nel vuoto della nostra pochezza. Solo una
verità altra da noi, di Dio, può liberarci.
Nota di colore, a margine: “Questo cammino l’abbiamo messo sotto il titolo “Mission first”, perché
oggi tutto si deve dire in inglese.” Sono proprio di un’altra Chiesa: io
sapevo (Giovanni XXIII, mica Leone XIII, docet) che la lingua della Chiesa è il
latino. La lingua della liturgia è il latino (Concilio Vaticano II docet, mica
Concilio di Trento). La lingua latina è la lingua del dogma, perché lo salva
dalle interpretazioni, dalla mutevolezza della mondanità. Ah il mondo. Da
cinquant’anni non lo dobbiamo più redimere, ma ascoltare e servire. Come se la
redenzione non fosse il Servizio per eccellenza donatoci da Cristo Signore.
Il dramma della povertà del nostro clero è
riassunta tutta qui: “Come fare per stare
sulla strada della verità? Avete avuto quel bellissimo incontro delle
famiglie, qui a Milano. Che bella la gioia di una famiglia credente. Ma oggi la
famiglia è patchwork, è una famiglia fatta di divorziati, risposati. E’ tutto
complicato. Come siglare un’alleanza tra la verità che libera e salva e la
misericordia? […] Io non so come trovare il cammino giusto.
[…] Io non sono d’accordo, per niente d’accordo, con il cosiddetto matrimonio
gay. Nonostante ciò, ci sono situazioni dove dobbiamo guardare prima di tutto
alla persona.” Eminenza carissima, come indegno figlio di Santa
Romana Chiesa le faccio presente che la più alta forma di carità è l’annuncio
della Verità. Legga la Caritas in Veritate, la trova in tutte le librerie
pseudocattoliche (di cattoliche credo ce ne siano pochissime), non è un testo
manoscritto del XIII secolo conservato negli archivi segreti vaticani da quei
perfidi monsignori non ancora epurati dal buon Papa Francesco, è un testo di
qualche anno fa, di quel papa, Benedetto XVI, di cui lei si definisce figlio e
allievo. Se non lo sa lei come trovare il cammino giusto, lo devo sapere io? Io
ignobile pecora devo suggerire a lei, sacro pastore, qual è la via per condurmi
fuori da questo baratro? Per cortesia, cari preti, vescovi e cardinali, fate
gli uomini e anche al costo del martirio e dell’infamia mediatica, proponete la
Dottrina della Chiesa. Essa è l’unica soluzione, solo quella riecheggia parole
di vita eterna di evangelica memoria. A me, mi permetta, non me ne frega niente
se lei è d’accordo o meno, delle opinioni personali ci faccio poco, io voglio
la Verità. E se questa non me la date voi preti cattolici non la trovo da
nessuna parte. Lei non deve essere non d’accordo, lei deve essere convinto che
il matrimonio gay non è naturale e quindi sano. Lo deve gridare dai tetti (Mt
10, 27) e non ci sono “nonostante ciò” che tengano. Perché predicare la verità,
compito dei cattolici (non solo praticarla), non è ignorare la persona. La
persona la si ama dicendole la verità.
Però forse sarebbe da ricordare che la verità viene
prima dell’amore. Ma se non c’è riuscito Romano Amerio con la sua denuncia
della dislocazione della Divina Monotriade, chi sono io per redarguire un
eminentissimo cardinale di Santa Romana Chiesa?
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