martedì 19 novembre 2013

Capita sovente di sentirmi ripetere se ho mai fatto esperienza di Dio e se l’ho incontrato. Sinceramente rispondo sempre imbarazzato, in difficoltà, perché io esperienza di Dio non l’ho mai fatta. Come possa definirmi cattolico, allora, per molti è un mistero. Per me, invece, rimane un mistero come si possa sostenere di aver fatto esperienza di Dio. Questa so essere un privilegio particolarissimo di pochi, i mistici, non la conditio sine qua non per dirsi cattolici. Nel dubbio ho arrancato per anni, morso da una parte dal dubbio di essere in errore (anche perché circondato da persone che, entusiaste, parlavano delle loro esperienze), dall’altra interrogato dalla sanità della mia ragione che, certamente può sbagliare, ma (per una meravigliosa grazia di Dio di cui Gli sono debitore) ancora funziona egregiamente. Ho sempre incentrato le mie attività sull’onestà intellettuale e tante e tante volte sono stato sul punto di mollare tutto visto che la predicazione dominante è quella che bisogna fare esperienza di Dio. Ho resistito, arrancando, ma ho resistito. Ancora oggi, però, il dubbio rimane solido e mi domando se a sbagliare sia io (e quindi a non essere cattolico) o a sbagliare siano i fautori della teologia dell’esperienza e quindi a essere loro non cattolici, e, peggio, eretici. Anche recentemente, al termine di una conversazione sul bilancio dell’ultimo anno catechistico, mi è stato domandato se io mai avessi fatto esperienza di Dio. Onestamente ammetto che non ho saputo dare una risposta convincete come la situazione meritava. Mi si argomentava che durante il catechismo bisogna far fare ai ragazzi un’esperienza positiva della Chiesa e che su questa poi, in futuro, a Dio piacendo, sarebbe maturata la fede di questi giovani. E che, assolutamente no!, non andavano insegnate verità, dogmi o formule, ma solo farli sentire a loro agio. Ho pensato a come per millenovecentosessant’anni possano essersi sentiti a disagio quei poveri bambini che andavano a catechismo e incontravano che so un san Giovanni Bosco. Ma non ho replicato e ho accusato il rimprovero. Ma il tarlo continuava a rodere finché non sono tornato su una lettura fondamentale e, vista la fonte, definitiva. Ho riletto alcune pagine dell’Enciclica Pascendi dominici gregis del Sommo Pontefice San Pio X, lettera scritta, come recita il sottotitolo, sugli errori del Modernismo. Il Papa chiaramente dice:

“E fin qua, o Venerabili Fratelli, del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci oltre a considerarlo nella sua qualità di credente, vogliam conoscere in che modo, nel modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare che quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la realtà divina, pure questa realtà non altrove l'incontra che nell'animo del credente, come oggetto di sentimento e di affermazione: che esista poi essa o no in sé medesima fuori di quel sentimento e di quell'affermazione, a lui punto non cale. Per contrario il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esiste di fatto in se stessa, né punto dipende da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l'esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono nell'opinione dei protestante dei pseudomistici. Così infatti essi discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l'uomo in contatto immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl'infonde una persuasione dell'esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell'uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, e negata, ciò dicono intervenire perché non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l'abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente. Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo già uditi condannare dal Concilio Vaticano. Vedremo più oltre come, con siffatte teorie, congiunte agli altri errori già mentovati, si spalanchi la via all'ateismo. Qui giova subito notare che, posta questa dottrina dell'esperienza unitamente all'altra del simbolismo, ogni religione, sia pure quella degl'idolatri, deve ritenersi siccome vera. Perché infatti non sarà possibile che tali esperienze s'incontrino in ogni religione? E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual diritto modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni son vere. E che non possano sentire altrimenti, è cosa manifesta. Imperocché per qual capo, secondo i loro placiti, potrebbe mai ad una religione, qual che si voglia, attribuirsi la falsità? Senza dubbio per uno di questi due: o per la falsità del sentimento religioso, o per la falsità della formola pronunziata dalla mente. Ora il sentimento religioso, benché possa essere più o meno perfetto, è sempre uno: la formola poi intellettuale, perché sia vera, basta che risponda al sentimento religioso ed al credente, checché ne sia della forza d'ingegno in costui. Tutt'al più, nel conflitto fra diverse religioni, i modernisti potranno sostenere che la cattolica ha più di verità perché più vivente, e merita con più ragione il titolo di cristiana, perché risponde più pienamente alle origini del cristianesimo. Che dalle premesse date scaturiscano siffatte conseguenze, non può per fermo sembrare assurdo. Assurdissimo è invece che cattolici e sacerdoti, i quali, come preferiamo credere, aborrono da tali enormità, si portino in fatto quasi le ammettessero. Giacché tali sono le lodi che tributano ai maestri di siffatti errori, tali gli onori che rendono loro pubblicamente, da dar agevolmente a supporre che essi non onorano già le persone, forse non prive di un qualche merito, ma piuttosto gli errori che quelle professano apertamente e cercano a tutt'uomo propagare.

Ma, oltre al detto, questa dottrina dell'esperienza è per un altro verso contrarissima alla cattolica verità. Imperocché viene essa estesa ed applicata alla tradizione quale finora fu intesa dalla Chiesa, e la distrugge. Ed infatti dai modernisti è la tradizione così concepita che sia una comunicazione dell'esperienza originale fatta agli altri, mercè la predicazione, per mezzo della formola intellettuale. A questa formola perciò, oltre al valore rappresentativo, attribuiscono una tal quale efficacia di suggestione, che si esplica tanto in colui che crede, per risvegliare il sentimento religioso a caso intorpidito e rinnovar l'esperienza già avuta una volta, quanto in coloro che ancor non credono, per suscitare in essi la prima volta il sentimento religioso e produrvi l'esperienza. Di questa guisa l'esperienza religiosa si viene a propagare fra i popoli; né solo nei presenti per via della predicazione, ma anche fra i venturi sì per mezzo dei libri e sì per la trasmissione orale dagli uni agli altri. Avviene poi che una simile comunicazione dell'esperienza si abbarbichi talora e viva, talora isterilisca subito e muoia. Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che è dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poiché se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto più elevato e più ampio della religione!

[…]

Il che parrà più manifesto dalla condotta stessa dei modernisti, interamente conforme a quel che insegnano. Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte sostenere ora una dottrina ora un'altra, talché si è facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto avvisatamente; per l'opinione cioè che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. Quindi avviene che nei loro libri si incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista. Di qui, scrivendo storia, non fanno pur menzione della divinità di Cristo; predicando invece nelle chiese, l'affermano con risolutezza. Di qui parimente, nella storia non fanno nessun conto né di Padri né di Concilî; ma se catechizzano il popolo, li citano con rispetto. Di qui, distinguono l'esegesi teologica e pastorale dall'esegesi scientifica e storica. Similmente dal principio che la scienza non ha dipendenza alcuna dalla fede, quando trattano di filosofia, di storia, di critica, non avendo orrore di premere le orme di Lutero (Prop. 29, condannata da Leone X, Bolla. "Exsurge Domine", 15 maggio 1520: "Ci si è aperta la strada per isnervare l'autorità dei Concili e contraddire liberamente alle loro deliberazioni, e giudicare i lor decreti e confessare arditamente tutto ciò che ci sembra vero, sia approvato o condannato da qualunque Concilio"), fanno pompa di un certo disprezzo delle dottrine cattoliche, dei santi Padri, dei sinodi ecumenici, del magistero ecclesiastico: e se vengono di ciò ripresi, gridano alla manomissione della libertà. Da ultimo, posto l'aforisma che la fede deve soggettarsi alla scienza, criticano di continuo e all'aperto la Chiesa, perché con somma ostinatezza rifiuta di sottoporre ed accomodare i suoi dogmi alle opinioni della filosofia: ed essi, da parte loro, messa fra i ciarpami la vecchia teologia, si adoperano di porne in voga una nuova, tutta ligia ai deliramenti dei filosofi.”

Il Modernismo è un’eresia. Qui va un punto molto grande. Chi si voglia dir cattolico deve rifiutarla con orrore, come tutte le eresie. Papa Sarto spiega in maniera chiara, senza troppi giri di parole, che “questa dottrina dell'esperienza è per un altro verso contrarissima alla cattolica verità”. Altro grande punto. E se si analizza la Chiesa di oggi si capiscono molte cose, molte delle quali previste dal Papa mentre condannava il Modernismo. Se la fede è esperienza e non una virtù per la quale crediamo ciò che Dio ha rivelato (cfr. Catechismo san Pio X §232) è normale che si rifiuti il Dogma, l’insegnamento dottrinale e la condanna dell’errore. Proprio perché non si crede più nell’errore, ma lo si considera una diversa verità. San Pio X non ha problemi a dire che, posto il Modernismo come base, tutte le religioni sono vere. E infatti oggi così si insegna: tutte le esperienze religiose conducono a Dio, bisogna imparare da tutti, eccetera eccetera. Se la fede è esperienza è normale che la liturgia venga modellata sui bisogni, sulle esperienze della comunità che vi partecipa. Eloquenti in questo senso sono le liturgie (e le motivazioni che tentano di giustificarle) del Cammino Neocatecumenale. È normale, quindi, che si sacrifichi la verità, che non è altro da noi, alla ricerca di una presunta unità. È normale che non si condanni più l’errore, che l’Autorità abbia smesso di svolgere questo amorevole compito.

Solo che tutto questo “è normale” non è cattolico. È normale nell’ordine dell’eresia, non in quello dell’ortodossia cattolica.

Ma c’è una frase, tra le tante, che deve far riflettere: “Quindi avviene che nei loro libri si incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista.” Ed è quello che, questo sì, sperimentiamo nei documenti del Magistero degli ultimi decenni (il che non significa non riconoscergli autorità o disconoscerlo tout court). Da una parte si dicono verità cattoliche, dall’altra si dicono espressioni ambigue, che potrebbero benissimo essere accettate da un non cattolico. Ed è quello che, a detta dei protagonisti, è avvenuto nei documenti del Concilio Vaticano II quando si è riusciti a inserire alcune espressioni apparentemente sane, ma che poi sono state prese per far passare teorie e pratiche che di cattolico non hanno nulla. Ed è quello che è avvenuto con il Messale di Paolo VI del quale i protestanti hanno detto un gran bene, tanto da riuscire ad affermare che “Uno dei frutti del nuovo Ordo sarà forse che le comunità non cattoliche potranno celebrare la santa cena con le stesse preghiere della Chiesa cattolica. Teologicamente è possibile” [M. Thurian] Teologicamente sarà anche possibile ma, francamente, è logicamente imbarazzante e da cattolico umiliante. La Chiesa crede che la Messa sia un vero sacrificio. I protestanti credono che la Messa sia un memoriale della Cena di Gesù e aborrono categoricamente l’aspetto sacrificale (che per la Chiesa cattolica è il principale). Le due cose non sono compatibili: mi spiegate come un protestante possa pregare con le preghiere della Chiesa cattolica? L’unica spiegazione è che la Chiesa cattolica ha rinunciato al Dogma cattolico per adottare l’opinione, l’eresia, protestante. Contra factum non valet argumentum.

Ringrazio san Pio X, che non dialogava, ma insegnava, che sapeva evangelicamente parlare con inconfondibili “sì, sì, no, no” (Mt 5,37) Imploro la Sua intercessione per la Santa Chiesa Cattolica. Mentre i nostri pastori si dileggiano a cercare verità da chi non ne ha, mentre celebrano riti che non rendono gloria a Dio, mentre distruggono la dottrina della Chiesa e, quindi, le Sue stesse fondamenta, io trovo pace nell’essere cattolico, di ripudiare l’eresia e che la mia ragione, per grazia di Dio, è sana e salva, così come la mia fede.

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