Capita sovente
di sentirmi ripetere se ho mai fatto esperienza di Dio e se l’ho
incontrato. Sinceramente rispondo sempre imbarazzato, in difficoltà, perché io
esperienza di Dio non l’ho mai fatta. Come possa definirmi cattolico, allora,
per molti è un mistero. Per me, invece, rimane un mistero come si possa
sostenere di aver fatto esperienza di Dio. Questa so essere un privilegio
particolarissimo di pochi, i mistici, non la conditio sine qua non per dirsi cattolici. Nel dubbio ho arrancato
per anni, morso da una parte dal dubbio di essere in errore (anche perché circondato
da persone che, entusiaste, parlavano delle loro esperienze), dall’altra
interrogato dalla sanità della mia ragione che, certamente può sbagliare, ma
(per una meravigliosa grazia di Dio di cui Gli sono debitore) ancora funziona
egregiamente. Ho sempre incentrato le mie attività sull’onestà intellettuale e
tante e tante volte sono stato sul punto di mollare tutto visto che la
predicazione dominante è quella che bisogna fare esperienza di Dio. Ho resistito,
arrancando, ma ho resistito. Ancora oggi, però, il dubbio rimane solido e mi
domando se a sbagliare sia io (e quindi a non essere cattolico) o a sbagliare
siano i fautori della teologia dell’esperienza e quindi a essere loro non
cattolici, e, peggio, eretici. Anche recentemente, al termine di una
conversazione sul bilancio dell’ultimo anno catechistico, mi è stato domandato
se io mai avessi fatto esperienza di Dio. Onestamente ammetto che non ho saputo
dare una risposta convincete come la situazione meritava. Mi si argomentava che
durante il catechismo bisogna far fare ai ragazzi un’esperienza positiva della
Chiesa e che su questa poi, in futuro, a Dio piacendo, sarebbe maturata la fede
di questi giovani. E che, assolutamente no!, non andavano insegnate verità,
dogmi o formule, ma solo farli sentire a loro agio. Ho pensato a come per
millenovecentosessant’anni possano essersi sentiti a disagio quei poveri bambini
che andavano a catechismo e incontravano che so un san Giovanni Bosco. Ma non
ho replicato e ho accusato il rimprovero. Ma il tarlo continuava a rodere
finché non sono tornato su una lettura fondamentale e, vista la fonte,
definitiva. Ho riletto alcune pagine dell’Enciclica Pascendi dominici gregis del Sommo Pontefice San Pio X, lettera
scritta, come recita il sottotitolo, sugli errori del Modernismo. Il Papa
chiaramente dice:
“E fin qua, o
Venerabili Fratelli, del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci
oltre a considerarlo nella sua qualità di credente, vogliam conoscere in che
modo, nel modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare
che quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la realtà divina,
pure questa realtà non altrove l'incontra che nell'animo del credente, come
oggetto di sentimento e di affermazione: che esista poi essa o no in sé
medesima fuori di quel sentimento e di quell'affermazione, a lui punto non
cale. Per contrario il credente ha come
certo ed indubitato che la realtà divina esiste di fatto in se stessa, né punto
dipende da chi crede. Che se poi
cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti
rispondono: l'esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se costoro si
dilungano dai razionalisti, cadono nell'opinione dei protestante dei
pseudomistici. Così infatti essi
discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa
intuizione del cuore; la quale mette l'uomo in contatto immediato colla realtà
stessa di Dio, e tale gl'infonde una persuasione dell'esistenza di Lui e della
Sua azione sì dentro, sì fuori dell'uomo, da sorpassar di gran lunga ogni
convincimento scientifico. Asseriscono
pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza
razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, e negata, ciò
dicono intervenire perché non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni,
che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l'abbia alcuno
conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente.
Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li
abbiamo già uditi condannare dal Concilio Vaticano. Vedremo più oltre come, con
siffatte teorie, congiunte agli altri errori già mentovati, si spalanchi la via
all'ateismo. Qui giova subito notare
che, posta questa dottrina dell'esperienza unitamente all'altra del simbolismo,
ogni religione, sia pure quella degl'idolatri, deve ritenersi siccome vera. Perché
infatti non sarà possibile che tali esperienze s'incontrino in ogni religione?
E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual diritto
modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? con
qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli cattolici? Ed infatti i
modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri
apertissimamente, che tutte le religioni son vere. E che non possano sentire
altrimenti, è cosa manifesta. Imperocché per qual capo, secondo i loro placiti,
potrebbe mai ad una religione, qual che si voglia, attribuirsi la falsità?
Senza dubbio per uno di questi due: o per la falsità del sentimento religioso,
o per la falsità della formola pronunziata dalla mente. Ora il sentimento
religioso, benché possa essere più o meno perfetto, è sempre uno: la formola
poi intellettuale, perché sia vera, basta che risponda al sentimento religioso
ed al credente, checché ne sia della forza d'ingegno in costui. Tutt'al più,
nel conflitto fra diverse religioni, i modernisti potranno sostenere che la
cattolica ha più di verità perché più vivente, e merita con più ragione il
titolo di cristiana, perché risponde più pienamente alle origini del cristianesimo.
Che dalle premesse date scaturiscano siffatte conseguenze, non può per fermo
sembrare assurdo. Assurdissimo è invece che cattolici e sacerdoti, i quali,
come preferiamo credere, aborrono da tali enormità, si portino in fatto quasi
le ammettessero. Giacché tali sono le lodi che tributano ai maestri di siffatti
errori, tali gli onori che rendono loro pubblicamente, da dar agevolmente a
supporre che essi non onorano già le persone, forse non prive di un qualche
merito, ma piuttosto gli errori che quelle professano apertamente e cercano a
tutt'uomo propagare.
Ma, oltre al detto, questa dottrina
dell'esperienza è per un altro verso contrarissima alla cattolica verità. Imperocché viene essa estesa ed applicata
alla tradizione quale finora fu intesa dalla Chiesa, e la distrugge. Ed infatti dai modernisti è la tradizione
così concepita che sia una comunicazione dell'esperienza originale fatta agli
altri, mercè la predicazione, per mezzo della formola intellettuale. A
questa formola perciò, oltre al valore rappresentativo, attribuiscono una tal
quale efficacia di suggestione, che si esplica tanto in colui che crede, per
risvegliare il sentimento religioso a caso intorpidito e rinnovar l'esperienza
già avuta una volta, quanto in coloro che ancor non credono, per suscitare in
essi la prima volta il sentimento religioso e produrvi l'esperienza. Di questa
guisa l'esperienza religiosa si viene a propagare fra i popoli; né solo nei
presenti per via della predicazione, ma anche fra i venturi sì per mezzo dei libri
e sì per la trasmissione orale dagli uni agli altri. Avviene poi che una simile
comunicazione dell'esperienza si abbarbichi talora e viva, talora isterilisca
subito e muoia. Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e
vita sono per essi una medesima cosa. Dal che è dato inferir di nuovo, che
tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poiché se nol
fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto più
elevato e più ampio della religione!
[…]
Il che parrà
più manifesto dalla condotta stessa dei modernisti, interamente conforme a quel
che insegnano. Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte
sostenere ora una dottrina ora un'altra, talché si è facilmente indotti a
giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto avvisatamente; per l'opinione
cioè che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. Quindi avviene che nei loro libri si
incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltar della pagina, si
trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista. Di qui,
scrivendo storia, non fanno pur menzione della divinità di Cristo; predicando
invece nelle chiese, l'affermano con risolutezza. Di qui parimente, nella
storia non fanno nessun conto né di Padri né di Concilî; ma se catechizzano il
popolo, li citano con rispetto. Di qui, distinguono l'esegesi teologica e
pastorale dall'esegesi scientifica e storica. Similmente dal principio che la
scienza non ha dipendenza alcuna dalla fede, quando trattano di filosofia, di
storia, di critica, non avendo orrore di premere le orme di Lutero (Prop. 29,
condannata da Leone X, Bolla. "Exsurge Domine", 15 maggio 1520:
"Ci si è aperta la strada per isnervare l'autorità dei Concili e
contraddire liberamente alle loro deliberazioni, e giudicare i lor decreti e
confessare arditamente tutto ciò che ci sembra vero, sia approvato o condannato
da qualunque Concilio"), fanno pompa di un certo disprezzo delle dottrine
cattoliche, dei santi Padri, dei sinodi ecumenici, del magistero ecclesiastico:
e se vengono di ciò ripresi, gridano alla manomissione della libertà. Da
ultimo, posto l'aforisma che la fede deve soggettarsi alla scienza, criticano
di continuo e all'aperto la Chiesa, perché con somma ostinatezza rifiuta di
sottoporre ed accomodare i suoi dogmi alle opinioni della filosofia: ed essi,
da parte loro, messa fra i ciarpami la vecchia teologia, si adoperano di porne
in voga una nuova, tutta ligia ai deliramenti dei filosofi.”
Il Modernismo è un’eresia. Qui va un punto molto
grande. Chi si voglia dir cattolico deve rifiutarla con orrore, come tutte le
eresie. Papa Sarto spiega in maniera chiara, senza troppi giri di parole, che “questa dottrina dell'esperienza è per un
altro verso contrarissima alla cattolica verità”. Altro grande punto. E se
si analizza la Chiesa di oggi si capiscono molte cose, molte delle quali
previste dal Papa mentre condannava il Modernismo. Se la fede è esperienza e
non una virtù per la quale crediamo ciò che Dio ha rivelato (cfr. Catechismo
san Pio X §232) è normale che si rifiuti il Dogma, l’insegnamento dottrinale e
la condanna dell’errore. Proprio perché non si crede più nell’errore, ma lo si
considera una diversa verità. San Pio X non ha problemi a dire che, posto il
Modernismo come base, tutte le religioni sono vere. E infatti oggi così si
insegna: tutte le esperienze religiose conducono a Dio, bisogna imparare da
tutti, eccetera eccetera. Se la fede è esperienza è normale che la liturgia
venga modellata sui bisogni, sulle esperienze della comunità che vi partecipa. Eloquenti
in questo senso sono le liturgie (e le motivazioni che tentano di
giustificarle) del Cammino Neocatecumenale. È normale, quindi, che si
sacrifichi la verità, che non è altro da noi, alla ricerca di una presunta
unità. È normale che non si condanni più l’errore, che l’Autorità abbia smesso
di svolgere questo amorevole compito.
Solo che tutto questo “è normale” non è cattolico. È
normale nell’ordine dell’eresia, non in quello dell’ortodossia cattolica.
Ma c’è una frase, tra le tante, che deve far
riflettere: “Quindi avviene che nei loro
libri si incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltar della
pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista.” Ed
è quello che, questo sì, sperimentiamo nei documenti del Magistero degli ultimi
decenni (il che non significa non riconoscergli autorità o disconoscerlo tout
court). Da una parte si dicono verità cattoliche, dall’altra si dicono
espressioni ambigue, che potrebbero benissimo essere accettate da un non
cattolico. Ed è quello che, a detta dei protagonisti, è avvenuto nei documenti
del Concilio Vaticano II quando si è riusciti a inserire alcune espressioni
apparentemente sane, ma che poi sono state prese per far passare teorie e
pratiche che di cattolico non hanno nulla. Ed è quello che è avvenuto con il
Messale di Paolo VI del quale i protestanti hanno detto un gran bene, tanto da
riuscire ad affermare che “Uno dei frutti
del nuovo Ordo sarà forse che le comunità non cattoliche potranno celebrare la
santa cena con le stesse preghiere della Chiesa cattolica. Teologicamente è
possibile” [M. Thurian] Teologicamente sarà anche possibile ma,
francamente, è logicamente imbarazzante e da cattolico umiliante. La Chiesa
crede che la Messa sia un vero sacrificio. I protestanti credono che la Messa
sia un memoriale della Cena di Gesù e aborrono categoricamente l’aspetto
sacrificale (che per la Chiesa cattolica è il principale). Le due cose non sono
compatibili: mi spiegate come un protestante possa pregare con le preghiere
della Chiesa cattolica? L’unica spiegazione è che la Chiesa cattolica ha
rinunciato al Dogma cattolico per adottare l’opinione, l’eresia, protestante. Contra factum non valet argumentum.
Ringrazio san Pio X, che non dialogava, ma
insegnava, che sapeva evangelicamente parlare con inconfondibili “sì, sì, no,
no” (Mt 5,37) Imploro la Sua intercessione per la Santa Chiesa Cattolica. Mentre
i nostri pastori si dileggiano a cercare verità da chi non ne ha, mentre celebrano
riti che non rendono gloria a Dio, mentre distruggono la dottrina della Chiesa
e, quindi, le Sue stesse fondamenta, io trovo pace nell’essere cattolico, di
ripudiare l’eresia e che la mia ragione, per grazia di Dio, è sana e salva,
così come la mia fede.
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