mercoledì 21 novembre 2012

La chiesa è aperta a tutti. Quest’affermazione può sembrare ovvia, quantomeno sacrosanta. A me, invece, lascia perplesso. Certamente la Chiesa è aperta a tutti coloro che vogliono entrarvi, quindi riconoscendovi la Sua soprannaturalità e sottomettendosi (argh, l’ho detto!) alla Sua legge. Per chi non vi riconosce i tratti soprannaturali e vuole fare come gli pare, continuando a usurpare il fregio del nome cattolico, sarebbe gradito andasse altrove. Questo mi sembra ovvio e sacrosanto. Ma nella schizofrenica modernità non è così. La chiesa infatti è aperta a tutti, tranne a chi è cattolico. Specie se per chiesa intendiamo il luogo di culto. Non mi addentro nei meandri della teologia trasferendo queste considerazioni alla Chiesa con la c maiuscola. Capita in queste settimane di assistere nelle parrocchie di Roma a degli incontri di preghiera con la Comunità di Taizè. Nella mia ignoranza non ne avevo mai sentito troppo parlare, quindi non saprei esprimere un giudizio articolato e serio. Ma ho assistito (più che partecipato) a uno dei loro suddetti incontri di preghiera e mi sono un minimo informato di che cosa si tratta. Questa comunità è, come recita la pagina di Wikipedia, una “comunità cristiana monastica ecumenica”. Il mio antivirus di cattolico (che necessiterebbe non di un aggiornamento, ma di un potenziamento) quando legge le parole ‘cristiano’ e ‘ecumenico’ si attiva immediatamente. Nel primo caso per il semplice motivo che se si usa il lemma ‘cristiano’ e non quello di ‘cattolico’ significa che, pur tra le innumerevoli cose che uniscono che si vogliono trovare, ce ne sono alcune (anche poche, come si vuole), ma fondamentali, sulle quali si diverge. A maggior ragione con il termine ‘ecumenico’. Questo termine lo si coniuga troppo spesso (anche involontariamente) con quello di sincretista, per il quale tutte le religioni sono uguali, buone, valide e da conservarsi. Logica (ma illogica) conseguenza di questo modo di pensare è che non si debba più spendere le proprie risorse ed energie per convertire il prossimo, ma solo per dirgli quello che tu credi, farci qualche chiacchiera insieme (magari presso i cortili delle città europee), ma sicuramente non con l’obiettivo di convincerlo che è in errore. La cosa che più spesso capita è che a cambiare convinzioni sei tu presunto cattolico che da presunto diventi certo non-cattolico. Così che nella chiesa ci stanno tutti, tranne che i cattolici. Gli spazi sacri vengono così concessi a tutti (atei, laici, musulmani, danzatori intorno agli altari e di ogni confessione religiosa). Ed è quello a cui ho assistito. Una chiesa buia, con solo qualche cero acceso, un’immagine di una Madonna con bambino, un crocifisso, tanta gente in ginocchio (che però alla Consacrazione non si inginocchia), letture bibliche (rigorosamente dell’Antico Testamento, non sia mai che il buon Gesù sia di scandalo) e canti vari (stranamente non con chitarre). Sarò ignorante io, ma non ho capito a chi si rivolgevano le preghiere. Perché se erano a Dio e al Dio incarnato in Gesù Cristo, non capisco perché non usare le preghiere ufficiali della Chiesa o addirittura una santa Messa cattolica. Altrettanto non capisco, allora, il fatto che se quelle preghiere erano rivolte a chiunque, ma sicuramente non al Dio incarnato in Gesù Cristo, perché concedere gli spazi di una chiesa cattolica? Così si corre l’evidente rischio di confondere i piccoli (e magari profanare gli spazi sacri). Magari è stato un caso isolato, figlio della miseria del protagonista, ma a me è capitato questo (non in questi incontri di preghiera, ma dopo la GMG di Madrid dello scorso anno). Assistere a degli ‘one man show’, fatti passare per incontri vocazionali, di preghiera, con la partecipazione di alti prelati, mi faceva pensare che fossero cose lecite, addirittura sante e che ero io il peccatore colpevole di sentirsi disgustato da tutto ciò. Poi scoprii che la santità è cosa arcana in queste cose e che la liceità pure, figlia al massimo di qualche impiccio (mi si passi il termine). Mi si obietterà, sicuramente, che lì come altrove c’è tanto di approvazione vaticana, timbri di congregazioni e sollecitudini papali. Vero. Le approvazioni vaticane, i timbri e le sollecitudini papali, chissà perché, vengono tirate fuori solo ogniqualvolta faccia comodo. Si pensa che così si possano giustificare tutti i crimini perpetrati. Anche io ho un’approvazione, addirittura del buon Dio: sono stato battezzato, ho ricevuto la Santa Cresima, sono a tutti gli effetti un cattolico, un figlio di Santa Romana Chiesa. Con questo però non penso di avere il diritto (tantomeno il dovere) di inventare liturgie, storpiarne di esistenti o assurgermi a profeta di non so bene quale novità. Il tutto, per tornare al fondo dell’odierna riflessione, in palese contraddizione tra la teoria (la chiesa è aperta a tutti) e la prassi. Perché nella pratica in questo ‘tutti’ ci entra chiunque (atei, laici, e co., con annessi riti e preghiere), ma non chi vuole essere cattolico. Provate ad andare nelle chiese parrocchiali e a chiedere quando si celebra la Messa nella Forma Straordinaria (quella riabilitata a tutti gli effetti da Benedetto XVI e permessa sempre, non a determinate condizioni come qualcuno tenta di far credere). La risposta che si otterrà sarà un rifiuto. Magari anche violento o, almeno, di compatimento. Molto spesso dipeso dal fatto che le suddette chiese, gli spazi sacri, sono incapaci di ospitare tanta sacralità. Con altari a forma di tavolino, buoni solo per starci in piedi, fare sacrifici (l’unico Sacrificio) diventa quantomeno impossibile. E le nuove chiese che si vanno costruendo (anche e soprattutto con i contributi dei fedeli) seguono benissimo questa linea. Così arriveremo al punto (già ampiamente raggiunto per molti aspetti) in cui ci saranno chiese polivalenti a tutti i riti, tranne a quello cattolico di sempre. A questo punto si vorrebbe che chi, come me, vuole essere ancorato all’eternità, alla Tradizione, a ciò che si è creduto ieri e si crederà domani (e non si capisce allora perché non si dovrebbe credere oggi) sia aperto anche a ciò che è nuovo. Della serie: vanno bene le tue nostalgie (che nostalgie non sono), ma accetta anche tutto il resto (con il paradossale controsenso che loro accettano solo il nuovo e certamente non l’antico, l’eterno). Attenzione: questa è una trappola. Perché il nuovo troppo spesso non concorda con il “vecchio”. O l’uno o l’altro. Non ci può essere concordia, né convergenza. A meno che non si converga nell’errore, tradendo il proprio Credo. Cosa che non posso né voglio accettare. 

Confesso che ho bisogno di respirare qualcosa di cattolico, di tradizionale, di eterno, di vero (sono tutti sinonimi). Qualcosa che mi faccia venire le vertigini dell’infinito, magari fino alle lacrime e allo stordimento di non capirci niente perché sono limitato, ignorante e misero. Ma sicuramente meglio non capire, che comprendere perfettamente la miseria e la devastazione che stiamo vivendo e subendo.

3 commenti:

  1. Caro Daniele. La Comunità di Taizè è stata visitata e approvata dai papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. La sofferenza di frére Roger era la divisione dei cristiani. Lui, pur nascendo in una famiglia evangelica e lui stesso pastore evangelico, viveva (con l'approvazione personale e diretta dei papi, senza bolli o timbri) come vero cattolico nelle devozioni (ai santi e alla Vergine Maria) e nei sacramenti (vedi il filmato del funerale di Giovanni Paolo II dove riceve la Santa Eucarestia dalla mani del Cardinal Ratzinger, futuro Benedetto XVI). Se vogliamo arrivare ad essere tutti una sola Chiesa Santa, Cattolica e Apostolica Romana, dobbiamo cominciare ad incontrarci su ciò che ci unisce, a pregare insieme a ricostruire linsieme l'unità perduta. Senza sospetti, rancori o quanto aumenta le divisioni.
    Caro Daniele, la Chiesa non può chiudere le porte in faccia a chi cerca l'unità nel nome di Cristo morto e risorto per ongni uomo. L'Amore di Cristo è amore che accoglie che unisce che diviene amore creativo; ed è proprio questo che frère Roger cercava e che la Comunità di Taizè continua a cercare nella preghiera, nel servizio e nella missione (non nel proselitismo).
    Ti saluto e ti abbraccio con grande affetto.

    diacono Mario Visalli

    RispondiElimina
  2. Caro Daniele, continuo la mia riflessione di ieri (un pò affrettata perchè dovevo andare in parrocchia per la preparazione alla Cresima degli adulti).
    Frère Roger ha vissuto, come tutta quella generazione, il dramma e l'orrore della seconda guerra mondiale, e lo ha vissuto come una lacerazione interna. Una guerra scatenata da un paese di tradizione protestante (sua confessione) anche contro paesi di tradizione cattolica, la Polonia (confessione di sua nonna alla quale era molto legato per la sua profonda fede). Frère Roger si domandò: "Cosa possiamo fare per evitare tali orrori. Cosa posso fare, come crisiano a contribuire alla costruzione di un mondo riconciliato". Da questa domanda nacque la sua vocazione: essere segno di accoglienza, di riconciliazione, divenire strumento di pace. Nella sua casa a Taizè cominciò ad accogliere rifugiati di ogni parte per offrirgli un luogo di pace, nella preghiera e nella condivisione.
    Finita la guerra continuò la sua esperienza fondando una comunità monastica, accogliendo giovani da ogni parte del mondo che cercavano un senso alla loro vita, alla loro esistenza. Da allora la sua intuizione, la sua vocazione è stata quella di riunire tutti i cristiani nel nome di Cristo affinchè la comunità dei credenti sia unita nella edificazione della pace, segno di unità in Cristo che è venuto per unire e non per dividere.
    Per cominciare ad essere fermento di pace, di unità e di riconciliazione, frère Roger e la Comunità di Taizè, inizia dall'unità nella preghiera semplice; fatta di piccole frasi cantate ripetutamente, sopratutto in Latino (lingua "ufficiale" della Chiesa Cattolica) secondo l'antica tradizione monastica; vedi le regole di San Basilio il Grande e di San'Antonio abbate.
    Ogni anno, migliaia di giovani "invadono" le piazze delle capitali d'Europa e del Mondo per pregare, per camminare come pellegrini sulla via della pace, per cantare la loro speraza in un Chiesa riconciliata in Cristo intorno al suo Vicario, il Vescovo di Roma.
    Caro Daniele, apri il cuore a chi non ha la tua stessa fede, forse non ha neppure fede, ma ha la tua stessa speranza, cerca un punto fermo nella sua vita. Speranza che anche tu gli puoi dare con la testimonianza della tua fede, donandogli il Cristo che porti dentro; quel Cristo che cerca e che fino ad ora non ha trovato, forse anche per le barrire e le divisioni che abbiamo costruito con il nostro orgoglio, con la nostra presunzione, con la nostra poca fede.
    Ti abbraccio fortemente con tanto affetto.

    diacono Mario Visalli o.f.s.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Mario, non metto in dubbio nulla di frère Roger. Anche a me ferisce la divisione tra i cristiani. Proprio per questo critico ogni forma blanda di conciliazione. Essa non può esserci se non in un ritorno o in un ingresso nell'unica Chiesa di Cristo: quella Cattolica Apostolica Romana. Proprio perché soffro mi domando perché confondere le carte. Sottolineando solo ciò che unisce si finisce per dimenticare ciò che ci divide (ed è quello che succede oggi). E se ciò che ci divide è, tanto per dirne due, l'autorità del Papa o il valore sacrificale della Messa, non possiamo certo chiudere gli occhi e trascurarli. Invece mi sembra che è quello che si sta perseguendo. Tutti insieme appassionatamente, ognuno con il suo credo, i suoi riti, i suoi leader, ecc. Nella Chiesa, ripeto, c'è posto per tutti tranne che per i cattolici. Per quei cattolici che considerano la loro fede un tesoro prezioso sì da donare, ma non da svendere, sperperare o tradire. Io più mi apro a queste realtà e più la perdo la fede. È un bene? Qui noi cattolici ci apriamo a tutto, al mondo, agli eretici, ai fratelli separati, ecc. e molti di loro entrano, seminato zizzania, distruggono e del nostro tesoro non rimane niente. Che speranza ho in comune con chi non ha la stessa fede? La speranza è certa perché si fonda sulla fede. C'è missione e missione; quella della Chiesa deve (e non dovrebbe) fondarsi sulla verità, con carità certo, perchè la Chiesa cattolica possiede la verità tutta intera (non per meriti, ma per grazia): mi spiegate allora cosa fraternamente cercano cattolici e non cattolici? La confusione dei non cattolici certamente.

      Nel mio articolo, poi, mi domandavo retoricamente il senso e la santità di incontri di preghiera tra persone di fedi differenti. Oltretutto per la concessione di spazi sacri cattolici per preghiere non prettamente cattoliche. "Tutto qui."

      Infine, vorrei tanto ancorarmi (lo faccio con fatica) al detto "Roma locuta causa finita", che detto per inciso, all'autorità del Papa ci credono più chi critica non capendo (tipo me) che chi esalta e sfrutta immaginifiche approvazioni delle proprie fantasie. Per quel che riguarda eventuali approvazioni mi sia concesso di dire che di approvazioni i nostri Santi Pontefici ultimamente ce ne hanno date di discutibili (nell'obbedienza del discutibile, non trattandosi di materia di fede).

      Elimina