mercoledì 10 ottobre 2012

Rimango spesso basito di cosa capita oggi nella Chiesa (e non nella ‘Chiesa di oggi’, essendo Essa la stessa ieri, oggi e sempre). Le anomalie e gli arbitri sono all’ordine del giorno, la pazzia è il cercare disperatamente di normarli, di renderli leciti. Il che, eventualmente, aggrava le responsabilità di chi legifera in maniera conciliante. Non perché la conciliazione e l’unione non sia da perseguire, ma perché essa non si raggiunge cambiando il nome alle cose. Se A e 1 sono due cose diverse (e lo sono, una è una lettera, l’altro un numero) non si può continuare a dire che sono entrambe lettere o entrambe numeri. Né si può fingere l’unità chiamando A un numero, quando in realtà non lo è. O lo si converte, lo si cambia, oppure è tutta una gran bella menzogna. Nella grande operazione menzogna, stile bipensiero di orwelliana memoria, in atto nella Chiesa cattolica, si riscontrano molte contraddizioni. Non solo gravi abusi, vere e proprie eresie e scandali vari. Ma anche lampanti contraddizioni. Una di queste si trova nella questione del canto liturgico. Tra le tante banalità propinate, si cerca di educare i giovani, i bambini, l’assemblea dei fedeli a cantare. Tutti devono farlo, in nome della fraintesa partecipazione attiva (vedi sotto). Ebbene ciò non è possibile perché i canti non sono più unici, cattolici, cioè universali, ma ogni parrocchia, ogni Messa ha la propria animazione (forse con tanto di animatore con corpo di ballo al seguito). Ciò che si persegue da una parte non è possibile raggiungerlo con ciò che si pratica dall’altra. A proposito della partecipazione attiva. Fraintendendo (volutamente? probabilmente sì) il Concilio Vaticano II e usandolo come grimaldello per distruggere tutto ciò che la Chiesa aveva prodotto in duemila anni di onorata carriera, si è creduto (e ancora si crede) che una celebrazione liturgica, tanto più se una Messa, per essere degna, veramente vissuta, ci deve essere spazio per tutti: tutti devono fare qualcosa. Il perché? Altrimenti i fedeli, specie se giovani, si annoiano. Se si considera la liturgia uno spettacolo, un teatrino di burattini, allora le motivazioni appaiono anche legittime, ma essendo la liturgia tutt’altro, allora la contraddizione risulta evidente quanto ridicola. A maggior ragione se si considera che i risultati non danno minimamente ragione ai sostenitori dell’attivismo liturgico, visto che le chiese sono sempre più vuote. A maggior ragione, ancora, se si tiene conto del fatto che i tanto decantati giovani, riempiono, piuttosto che le chiese, i cinema, dove, per assurdo, stanno fermi per due ore a guardare una cosa! Qui, però, non si annoiano. Ancora per quel che riguarda la liturgia: per coinvolgere i giovani (come se questa fosse la nuova missione affidata da Gesù agli Apostoli) si è fatto di tutto, dalla sostituzione dei canti con le canzoni con i ritornelli, ai battiti di mani, ai tamburelli, ai segni, alle lingue volgari, alle spiegazioni su spiegazioni, eccetera. I giovani però, le chiese non le riempiono. Anzi, le disertano ben volentieri. Le riempiono solo laddove, anche diventando adulti, ci sono ancora le canzoni con i ritornelli, i battiti di mani, i tamburelli, i segni, le lingue volgari, le spiegazioni su spiegazioni, eccetera. Da giovani non sono stati educati al mistero, al sacro, al culto. Da grandi, ma anche ancora da giovani, non cercano e non cercheranno il sacro, il culto e il mistero, ma le banalità propinate come omogenizzati per anni. Ancora una: si è tanto criticato, con toni aspri, violenti e disgustosi, il fatto che si celebrasse più di una Messa, su altari diversi, contemporaneamente nella stessa chiesa. Questo modo di fare sarebbe andato contro l’unità della celebrazione Eucaristica, avrebbe favorito la frammentazione, la divisione, eccetera. A cosa si è arrivati cavalcando questa critica? A concepire/tollerare/concedere, che si celebrino contemporaneamente più messe (tre, quattro, cinque, sei che siano), non più su altari nella stessa chiesa, bensì in stanzette su dei tavoli. In spazi quindi non sacri, per giunta su tavoli e non su altari, trascurando e lasciando vuota la chiesa. Sia chiaro, ci sono cavilli che permettono l’eccezionalità di celebrare in un luogo diverso dalla chiesa, su altari mobili, eccetera, ma purché sia l’eccezionalità. Ma questa è diventata la norma. Con tanto di statuti a movimenti ecclesiali che hanno nel loro iter messe diverse per i diversi livelli dei loro adepti. “La Chiesa aveva ragione nel rifiutare anche le eccezioni, e le eccezioni sono diventate una regola” [G. K. Chesterton]

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