venerdì 24 febbraio 2012

Abbiamo un grande Papa! Questa considerazione non la troverete sui giornali o nei tg, su questi media del Papa si parla solo per le sue presunte colpe (specie se è quello felicemente regnante) o per la sua morte. Di quello che di grande e bello fa, nessuno lo dice. Ma Lui continua a fare, incurante della mediocrità di chi sarebbe chiamato, anche tra i suoi collaboratori e fedeli, a supportarlo. L’ultima perla di un pontificato magnifico, di cui vedremo e gusteremo la bellezza, forse soltanto quando Benedetto XVI non sarà più di questo mondo, è il Messaggio per la Quaresima 2012. Se qualcuno lo legge con superficialità non troverà niente di rilevante e tale da giustificare i miei commenti entusiasti. Eppure, seppur non dica apparentemente niente di nuovo, dice la verità. E nella Chiesa di oggi non è scontato. Il Papa dice qual è la verità sull’uomo, quella che la Chiesa crede da sempre e che qualcuno pensava fosse tramontata e avesse lasciato il passo alle mode del momento. A maggior ragione sull’uomo che si professa cristiano. Il Papa parla di quell’aspetto della vita cristiana che è la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Il problema di fondo sta proprio lì: la salvezza eterna. Tra gli stessi cristiani molti non ci credono. Molti pensano che la salvezza debba essere realizzata sulla terra e che quella su questa terra sia l’unica possibile. Questa grave miopia porta a pensare che la politica, l’economia, l’interesse sociale (importanti, ma non fondamentali) portino al benessere dell’uomo e alla sua salvezza. Il Papa ricorda che non è così. Quel che bisognerebbe ricordare, oltre al fatto che una vita eterna esiste, è che essa non ce l’abbiamo di diritto. Non esiste nemmeno un sindacato pronto a scendere in piazza, a fare pressioni, per ottenerci qualcosa che a loro giudizio ci spetta. Abbiamo sì l’intercessione dei santi, ma essi non si sostituiscono a noi. Siamo noi che nella nostra vita dobbiamo fare il bene. E qui sorge il secondo annoso problema. Che cos’è il bene? Esiste? Ma non è tutto relativo? Il mio bene non è il tuo bene, quindi faccio il mio bene; poi se ci scappa, un po’ mi preoccupo anche per te. Il Papa lo dice chiaramente: “L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male. […] Non bisogna tacere di fronte al male. Penso all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene.” Chiamare eretici chi professa un’eresia non è presunzione, né tantomeno cattiveria, ma è un’opera di carità. Forse anche la più grande! “Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli.” Anche qui ritorna la nostra cecità sulla persona umana: essa, secondo noi, è solo carne e solo questa carne deve essere saziata e redenta. Dell’anima, quando ci crediamo, non c’interessa. Proprio qui si realizza il secondo comandamento (e non un sentimento) più grande che ci ha lasciato Gesù: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” [Mt 22,39] Amare l’altro non significa provare un sentimento per lui. “Il Vangelo nella sua sapienza ci indica che cosa fare non che cosa provare spontaneamente”. [C. Miriano] Amare significa fare quello che è bene per l’altro. Oltre al fatto che ad amare il prossimo, fosse anche un nostro nemico, ce lo comanda (comandamento) Gesù, siamo chiamati a farlo anche perché “La nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale.” Il peccato e il male, così come il bene e l’amore, non sono atti che riguardano solo me stesso ed eventualmente la persona a cui mi rivolgo, ma riguardano tutto il corpo della Chiesa. Tutti noi. È uno di quei misteri che non vediamo direttamente, ma che esiste ed è evidente. Quindi molto spesso, dei tanti mali e drammi del mondo, prima di scendere in piazza a spaccar vetrine per gridare allo scandalo di qualche torto subito, facciamo un sano e santo esame di coscienza e chiediamo perdono a Dio delle nostre colpe. Perché il male lì si annida: sulle nostre colpe. Per sanare le nostre colpe abbiamo bisogno di una sana e santa vita spirituale. Non di preoccuparci dei fatti nostri, relegare la fede alle Messa domenicale (se non stiamo al mare, gioca la Roma o abbiamo altro da fare), comportarci pubblicamente come pagani e poi in casa gloriarsi cristiani. La fede, la fede cattolica, deve permeare tutta la vita. La fede non può essere solo un aspetto della vita, un accessorio cui servirsi in qualche caso e cui dedicare discontinuamente attenzione. Conclude il Papa: “I maestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi non avanza retrocede”.

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