A questo punto alzo le mani, ammetto la mia ignoranza e prendo in seria considerazione l’idea che a sbagliare, dico sul serio, sia io. Non è presunzione né finta umiltà, ma solo l’ennesima constatazione di un fatto che m’induce a ripensare, per l’ennesima volta, le mie scelte, le mie idee, le mie posizioni, le mie convinzioni. Ho tra le mani i libri, in uso nella mia parrocchia (e non solo), che sono usati per il catechismo in preparazione alla Comunione e alla Cresima. Tra le tante balordaggini ivi presenti, ne ho scovata una abbastanza grossa, relativa nientemeno che alla Chiesa cattolica. Mi spiego: basta sfogliare l’indice per cercare i capitoli e le pagine dove si spera di trovare qualche riferimento alla Chiesa cattolica e cercare di capire come Essa venga spiegata ai bambini. Il risultato? In alcuni capitoli la parola Chiesa (anche con la C maiuscola) compare, ma se poi si vanno a leggere i contenuti di quelle pagine le conseguenze sono due: perdita della fede o corsa nella prima chiesa (luogo di culto, quindi con la minuscola) dove si celebra una Messa realmente cattolica (quindi niente danze, chitarre e battiti di mano) a chiedere perdono a Dio di tanta colpa e implorare la Sua Misericordia. A dire il vero, un’altra soluzione ci sarebbe, ed è quella che prospettavo all’inizio. Ammettere di sbagliare. Infatti, se io dovessi pensare alla Chiesa cattolica e ne dovessi parlare a qualcuno direi che: “La Chiesa è la società dei veri cristiani, cioè dei battezzati che professano la fede e dottrina di Gesù Cristo, partecipano ai suoi sacramenti e ubbidiscono ai Pastori stabiliti da Lui.” Lo ammetto, non sono parole mie ma prese pari pari dal Catechismo di San Pio X, punto 105. Il Catechismo non si usa più (tantomeno quello di Papa Sarto) perché la pastorale moderna aborre la memorizzazione di definizioni e formule e perché la fede è sola esperienza. Allora come si fa esperienza della Chiesa? Uno potrebbe pensare a un'udienza privata con il Sommo Pontefice o alla partecipazione all’Angelus domenicale. Giammai! L’Angelus è in latino e quindi dannoso per la salute mentale e spirituale dei piccoli; l’udienza non è possibile perché a noi questo Papa non piace. Fosse stato Giovanni XXIII o Giovanni Paolo II, tanto buoni, allora sì. Questo tedesco non ci piace e allora facciamo come se non esistesse. Se quello che ho scritto vi sembra assurdo (e lo è) e vi appare come fantacatechismo, beh, ricredetevi: nei sussidi per il catechismo dei ragazzi della Diocesi di Roma (quella dove sono morti Pietro e Paolo e dove sta la Sede Apostolica, ndr) del Papa, dei Vescovi, dei preti non si parla. La Chiesa cos’è? “La Chiesa siamo noi”, “La Chiesa ha bisogno di noi”, eccetera. Questi i titoli (che rasentano l’eresia) dei capitoli dei libri in questione. E il contenuto, come detto, è anche peggio. Del Papa non si parla, della gerarchia non si fa menzione, dell’unicità, la santità, la cattolicità e l’apostolicità della Chiesa non si dice nulla. Se poi questi giovani un domani pensassero che l’AS Roma calcio, lo Stato italiano, la repubblica delle banane, la comitiva di amici e il proprio complesso musicale siano la stessa cosa della Chiesa cattolica, ammettiamolo, non si può imputar loro nessuna colpa. La colpa andrebbe imputata non tanto a chi scrive certe amenità su certi libri (ognuno combatte la propria battaglia; Cristo di nemici ne ha molti), ma a chi assegna a questi sussidi la parvenza di ortodossia e permette (a vario titolo e grado) che arrivino nelle mani dei catechisti e, infine, dei ragazzi. Allora mi domando: quando la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella Nota con le indicazioni pastorali per l’Anno della fede, al punto 9, dice: “È auspicabile una verifica dei catechismi locali e dei vari sussidi catechistici in uso nelle Chiese particolari, per assicurare la loro piena conformità con il Catechismo della Chiesa Cattolica. Nel caso in cui alcuni catechismi o sussidi per la catechesi non siano in piena sintonia col Catechismo, o rivelino delle lacune, si potrà cominciare a elaborarne di nuovi”, non è che si riferisce proprio a questi libri? La soluzione, a mio avviso, non è, anche qui, nel nuovo. Ma nella riscoperta del vecchio. I testi ci sono, la loro validità e santità è indubbia, perché faticare e spendere tempo e denaro per qualcosa di nuovo che rischia, di essere peggiore di quello che già c’è, e non piuttosto tornare alle sane e antiche tradizioni? Domande alle quali, probabilmente, mai avrò una risposta chiarificatrice.
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