Il Papa nel discorso al Parlamento tedesco ha parlato della ragione. Di giusto e sbagliato. Di bene e male. Solo un Papa, un Grande Papa come Benedetto XVI, poteva farlo. E a suo modo. Che ti lascia spiazzato, che sembra un discorso normale, prevedibile, ma che invece, come tutta la sua bibliografia dimostra, ha quel quid, quella chiave, che cambia la prospettiva di tutto e rende, perché lo è, ragionevole la fede e la visione cattolica della vita. Parlando di ragione ha fatto ritornare nella mia mente un appunto che, tra i tanti, ho salvato tra i fogli di carta ed elettronici. Ed è una riflessione sulla ragione e sui sentimenti. Una meditazione su quest’apparente dicotomia e alcune considerazioni sull’abuso che di ciascuno di essi (ragione e sentimento) si può fare. In una società estremista e sconclusionata come la nostra dove conta solo ciò che coincide con i nostri istinti, il peso maggiore verte verso il sentimentalismo, che non è una visione sana dei sentimenti, ma la loro assolutizzazione. Al contrario, per chi ancora si ostina a voler mettere in campo e a dare diritto di cittadinanza alla ragione, si ritrova esiliato, umiliato e additato come insensibile, pazzo, e anche un po’ incapace a capire come funziona davvero l’uomo. Ma vediamo di capirlo davvero l’uomo, ovviamente avvalendoci dell’aiuto di ciò che dice il Catechismo della Chiesa cattolica. L’uomo è un essere ragionevole, dotato dell’uso della ragione. Cosa che lo contraddistingue dalle bestie. Anche questa cosa non è molto ovvia in un mondo dominato dall’adorazione degli animali, dalla loro tutela e cura e dall’abbandono dell’uomo. La ragione, quindi, sembra essere un tratto peculiare dell’essere umano. Non è, come si potrebbe temere, qualcosa di cui liberarsi per essere davvero se stessi, per realizzarsi. Eppure questa è la visione predominante oggi. Oggi si pensa che l’io, l’uomo naturale, sia quello che sregolato da ogni norma e regola, fa quello che la sua carne, i suoi istinti, la sua anima più pura gli suggerisce di fare. Tale concezione trova terreno fertile nella visione relativista della realtà; non riconoscendo più una distinzione tra bene e male, ogni istinto, desiderio e voglia, è un diritto. Ed è quello che magistralmente ha denunciato l’allora cardinal Ratzinger nell’omelia nella Messa Pro Eligendo Romano Pontefice, dove affermò che: “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. I sentimenti slegati da tutto, lasciati liberi a se stessi, sono la misura con cui giudicare l’uomo. Aldilà della pazzia e dell’incoerenza che domina l’uomo che cede a questa visione (un giorno si ha voglia di una cosa, il giorno dopo di un’altra), a essere minata è la convivenza civile e sociale. Se ogni mia voglia è un diritto, chiunque ostacoli questo mio diritto è qualcuno che attenta alla mia realizzazione, alla mia felicità. Quel qualcuno è un fondamentalista. Quel qualcuno va eliminato. Poco importa se è un bambino nel tuo grembo. La mia vita deve andare come dico io; io non ho voglia di essere madre, per cui quella “cosa” che ho dentro può benissimo essere eliminata. E lo Stato si è piegato a questa visione. L’educazione verte in questa direzione. Soddisfare le proprie voglie. L’essere se stessi coincide con la realizzazione dei propri istinti. Anche i più animali, i più assurdi. Chi ha dalla sua la grazia di essere cattolico sa che l’uomo è contraddistinto da una cosa che si chiama peccato originale. Questa cosa qui non è una favola per bambini o un’invenzione dei preti per dominare le coscienze: è la realtà della condizione umana. La sua natura è corrotta. Abbandonata a sé essa tende verso il male. Inevitabilmente. Ecco perché fa ancora più rabbia e scandalo se questa visione sentimentalista, relativista e fondata sugli istinti è sposata dai cattolici. Ecco perché i sentimenti e gli istinti non possono essere messi a fondamento delle proprie decisioni. A tal proposito va ricordato che “Le passioni sono commozioni o moti violenti dell'anima che, se non sono moderati dalla ragione, trascinano al vizio, e, spesso, anche al delitto” [Catechismo san Pio X §259] Questo non vuol dire che non ci siano. Siamo cattolici, quindi realisti, e sappiamo che parte costitutiva dell’uomo è anche, e non secondaria, quella delle passioni. Ma come abbiamo visto, non possono e non devono esserne la base. Sono una parte fondamentale. Non si può fare una cesura. Non può essere un aut-aut, ma un et-et. Ragione e sentimento. Questo non deve essere abbandonato. Perché la tendenza pericolosa in cui si può procedere è quella di pensare di eliminare i sentimenti. Di soffocarli. Questa è una delle tante accuse rivolte a chi ancora crede nel potere e nel dovere della ragione. Aldilà dell’impossibilità di eliminare i sentimenti, questa non è la visione cattolica, quindi reale, della vita. Essi (i sentimenti) rendono unici gli uomini, li salvano da un’esistenza ridotta a mero esercizio del dovere. Ad essere una macchina che rispetta gli ordini. Questo non è l’uomo cattolico. Questa è semmai una visione moralistica dell’essere umano. Se abbiamo visto che i sentimenti non possono essere messi a fondamento dell’agire umano, la tentazione è quella di risolvere l’equazione ‘ragione-sentimento’ spostando il baricentro tutto sulla ragione. E far dominare la vita solo e soltanto da essa. Eppure a ben guardare anche qui sorgono dei problemi. Nell’eccesso e nell’abbandono della ragione. Abbandonando la ragione, l’uomo diventa schiavo di sé, delle sue voglie, e, peggio ancora, di chi si trova di fronte. Assolutizzando però l’uso della ragione, si finisce per togliere ogni sapore alla vita. Si finisce per considerare la vita come un meccanismo perfetto al quale si può rispondere con operazioni precise e determinate. L’esperienza dimostra che non è così. Se quindi, cercando di tirare le somme, sia l’abbandono delle passioni (apatia), sia la loro assolutizzazione (relativismo), sia l’abbandono della ragione (l’uomo come le bestie), sia la sua assolutizzazione (l’uomo come macchina) è un errore e provoca solo che danni, dove sta la realizzazione dell’uomo? Come può egli risolvere l’annosa equazione della dicotomia tra ragione e sentimento? Abbiamo appurato che è la ragione che guida l’uomo, che lo rende tale, non schiavo dei propri istinti e, quindi, diverso dalle bestie. Ricordava Giovanni Fighera, nel suo bellissimo Amore che mov il sole e l’altre stelle come “Dante definisce lussurioso nel canto V dell’Inferno proprio coloro che la «ragione sottomettono al talento». Sentimento e attrazione («talento») per l’altro sono importanti, ma non possono sopraffare la ragione.” Questa ‘ragione’, però, non è un dio da venerare. Non bisogna sottomettersi incondizionatamente a essa. Bisogna che la ragione sia illuminata da quella cosa che tanto fa storcere il naso ai sapienti, ai cattolici adulti, ai governanti, agli illuminati, ai grandi del mondo. Stiamo parlando della fede. Di Dio. Senza di essa e senza di Lui, ogni agire dell’uomo sarà pazzo e deleterio. Quella cosa lì, la fede, è ciò che il Papa sta tentando di riportare in Europa.
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