Trovo conforto nella lettura dell’autobiografia di Sant’Ignazio di Loyola (Il racconto del Pellegrino, Adelphi, 2011), il fondatore della Compagnia di Gesù. Vi trovo consolazione perché scopro che anche questo santo ha avuto una vita travagliata. Aldilà dei singoli episodi che possono capitare, delle situazioni in cui si può incorrere e del piano che Dio può disporre, quello che emerge è un uomo che si tormenta di dubbi. Che non sa cosa fare. Queste incapacità non è però fonte e giustificazione di inedia. Si affida a Dio. Quest’affidamento passa per un atteggiamento che può sembrar banale e pagano, ma che forse è proprio quello più cristiano. Eccone un esempio: “Gli sopravvennero allora degli impulsi che portavano lo scontento nella sua anima, sembrandogli di non aver fatto il suo dovere […] E allora, stanco di esaminare che cosa fosse bene di fare, non trovando cosa certa a cui risolversi, decise così, ciò che avrebbe lasciato andare la mula a briglia sciolta fino al punto in cui si dividevano le strade; e se la mula avesse preso la strada del villaggio sarebbe andato in cerca del moro […]; e se non fosse andata verso il villaggio, ma se avesse preso la strada maestra, lo avrebbe lasciato stare.” Ne prendo atto per me che ho le stesse difficoltà e la stessa angoscia dovuta a dubbi, domande, riflessioni. Per me che sono tormentato dalla ricerca del vero, di cosa sia giusto fare. Sono circondato da persone che mi dicono che il giusto non esiste. E allora non è vivere ma campare. O che se esiste è quello che mi sento di fare all’istante. Conosco la mia miseria e dubito fortemente che i miei istinti coincidano anche solo minimamente con il vero e con il giusto. E c’è anche una terza, minuta, categoria: quelli che mi dicono che capire cosa sia giusto fare è semplice, evidente. Sarò limitato io (la cosa non mi stupirebbe), ma non capisco. Allora proverò a fare come Sant’Ignazio.
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