martedì 11 dicembre 2012

Per le edizioni Dehoniane, come riporta il Foglio del 7 dicembre scorso, Gian Franco Svidercoschi (“giornalista, già vicedirettore dell’Osservatore Romano, autore, tra l’altro di “Dono e Mistero”, con Giovanni Paolo II”) ha pubblicato il suo nuovo lavoro, dal titolo “Il ritorno dei chierici”. In questo volume, come riporta l’articolo sul Foglio, Svidercoschi scrive che la Chiesa dovrebbe rivisitare la morale coniugale, la normativa sui divorziati risposati e di rivedere le tematiche “legate alla difesa della vita, della famiglia, del matrimonio e, di conseguenza, i tanti interrogativi morali sulla fecondazione artificiale, sulle coppie di fatto, sull’omosessualità, sull’eutanasia”. La solita storia, quando non si vuole accettare una verità altra, si pretende che essa si modelli sulle nostre elucubrazioni. Come se, d’altronde, la Chiesa non si fosse già sufficientemente allineata all’ideologia mondana. Quello che alla Chiesa occorre è ritornare a ciò che le compete: l’annuncio della sua Dottrina, non la prostituzione di essa con le varie mode del momento. Sempre Svidercoschi, come riporta l’articolo, vede una Chiesa divisa in due: “Da una parte la fazione che si sente depositaria esclusiva della verità annunciata, segnata da un risorgente e pericoloso clericalismo, da “un’autorità che degenera spesso in puro potere”. Dall’altra parte, invece, la chiesa nata cinquant’anni fa dal Concilio Vaticano II, “portatrice di tante novità e speranze, ma bloccata nella fase evolutiva dalle pare e dalle resistente di una parte della gerarchia ecclesiastica””. Come ho già scritto ripetutamente: se la divisione della Chiesa viene vista dal mondo che ama la Tradizione e la Chiesa stessa, viene tacciato di eresia, se a farlo sono gli idolatri di ogni sorta di aggiornamento e ammodernamento, nessuno che bandisce scomuniche o anatemi. È una tristissima storia quella che la Chiesa sta vivendo oggi, con questi personaggi che temono il clericalismo, ma vanno a braccetto con il relativismo e tutti gli –ismi possibili che degradano il cattolicesimo. La perla di questo libro è la seguente: la chiesa “è chiamata a educare alla felicità, non a terrorizzare le coscienze”. Questo è un bel trucchetto verbale. Mettere sullo stesso livello, a confronto, un’affermazione falsa e una pessima, con l’obiettivo che dal confronto con la pessima la falsa appaia vera. Il trucco, garantisco, molto spesso funziona. Così molti, sinceramente, deplorando il terrorismo delle coscienze, esultano e si commuovono con questa teologia della felicità. Sia chiaro, non credo che il buon Dio goda a vederci soffrire, ma credo che le sue priorità siano ben altre. Così come altri sono i fini della Chiesa. Credo, mi si corregga se sbaglio, che la Chiesa serva per salvarci, per santificarci, per amministrare i Sacramenti. Gesù Cristo si è incarnato per salire sulla croce e da lì riscattare le nostre miserie, non per farci godere in questo mondo. Tutto torna, niente è a caso. In una Chiesa che ha sostituito Dio con l’uomo, adora la creatura e non il creatore (si vedano le moderne liturgie); allo stesso modo invece che preoccuparsi sul preparare gli uomini al momento della morte, ci si preoccupa di far godere gli uomini già da ora. Della serie meglio un uovo oggi che una gallina domani. Se poi l’uovo si consuma e finisce e la gallina domani non ci sarà, sembra non essere una preoccupazione. L’importante è avere la pancia piena.

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