Si fa un gran parlare, a dire il vero nemmeno troppo considerando
che meriterebbe più attenzione, sui silenzi di Papa Francesco in merito alla mattanza
dei cristiani in Iraq. Papa Francesco è uno che parla su tutto e tanto e
stupisce questo reiterato silenzio. Quando ha parlato, lo nota benissimo
Antonio Socci, è stato anche peggio del silenzio, avendo detto cose ovvie, a
metà e senza avere il santo coraggio di nominare e denunciare chi sono gli
aggressori e carnefici. C’è chi sostiene che il Papa dovrebbe essere più
chiaro, anche specificando i massacratori, senza nascondersi dietro un generico
nome di “terroristi” così come essere più coraggioso nel chiamare per nome
(cioè “cristiani”) i perseguitati e non accontentarsi anche qui di un vago
“minoranze religiose”.
Si fa fatica anche solo a
ragionare all’interno della cattolicità (esiste ancora?) perché ragionare
significherebbe interrogarsi sul pontificato di Bergoglio. Questo è mediaticamente
ed ecclesialmente intollerabile, considerando che egli è il Papa del
#comeluinessunomai (la borsa nera, le scarpe nere, la croce d’argento, le
utilitarie, eccetera). Sono passati i tempi di ratzingeriana memoria in cui
mostrare fedeltà al Papa era motivo di ingiuria e calunnia. Sono passati i
tempi in cui pur di silenziare il Papa non ci si è sottratti a montare, con
l’inevitabile complicità del clero, un caso internazionale di pedofilia e furti
di carte private di cui oggi, a distanza di nemmeno due anni, sembra tutta
acqua passata. Il sospetto (certezza) che esso fosse un grimaldello per
screditare il Pontefice allora regnante è alto; così come è alto lo smarrimento
di fronte al fatto che oggi il Successore goda di una popolarità immensa e che
questo parlare benissimo di Lui da parte di tutti non è, semplicemente,
evangelico (cfr Lc 6,26). Sono passati tanti tempi e altrettanti pontificati. È
interessante, come sintesi, riportare e ricordare l’atteggiamento dei Papi e
dell’opinione pubblica (contemporanea e datata) su quelli che nei decenni sono
stati considerati i “silenzi del Papa” o, al contrario, la Sua imprudenza nel
parlar troppo.
Il primo, emblematico e storico
caso, è quello relativo all’annosa questione dei silenzi di Pio XII. Papa
Pacelli è colpevole, a detta della vulgata comune, di aver taciuto di fronte
agli orrori del nazionalsocialismo e di non aver denunciato pubblicamente,
duramente e in maniera incontrovertibile, i crimini che si andavano perpetrando
specie, anche qui seguendo la vulgata comune, contro gli ebrei. Si sostiene
(lasciamo agli storici questo tipo di valutazione) che le parole del Papa, se
anche non sarebbero state in grado di frenare quell’abominio, avrebbero almeno
lasciato un messaggio. L’apologetica cattolica, così come pure una seria
ricerca storica (le due, oltretutto, devono andare a braccetto), mostrano come
Pio XII non abbia né taciuto, né sia stato complice di Hitler (come i libri
nelle librerie e l’opinione pubblica continuano a sostenere e credere), né tantomeno
è rimasto impassibile e inerte davanti a quella atroce strage di innocenti,
anzi. Basti ricordare, tra le infinite prove indiziarie, quanto disse Riccardo
Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma, davanti a Benedetto XVI
che il 17 gennaio 2010 andò in visita alla Sinagoga di Roma: “Se sono qui a parlare da questo luogo
sacro, è perché mio padre e mio zio Raffaele z.l. trovarono rifugio nel
Convento delle Suore di Santa Marta a Firenze.” Forse questo, più di tante
pubbliche denunce (che quando ci furono scatenarono reazioni incontrollate di
vendetta da parte dei nazisti) è l’operato che testimonia l’infondatezza di
tante pretestuose accuse a Papa Pacelli. Ma questo, dicevamo, è dovere degli
storici. Qui abbiamo ricordato quello che viene considerato il silenzio per
antonomasia di un Papa di fronte a una strage.
Di tenore diametralmente opposto
furono le conseguenze di fronte alle parole, non un silenzio, di un altro Papa,
Benedetto XVI, non in tempo di guerra come fu per Pio XII, quando, il 12 settembre
2006, nell’ormai celebre lectio magistralis di Ratisbona disse, citando Manuele
II Paleologo: “Mostrami pure ciò che
Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e
disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che
egli predicava". Feroci le reazioni del mondo laico che accusarono
Ratzinger di fomentare l’odio religioso, di aver aggredito l’Islam e di tutti i
mali possibili e immaginabili. Il pontificato benedettiano passerà alla storia
per gli attacchi subiti, quindi non è questa la notizia. Così come non è una
notizia che le parole di un Papa suscitino scandalo (ci si dovrebbe interrogare
quando ciò non avviene o avviene l’esatto contrario).
È però interessante notare come
nel passato, più e meno recente, ci si sia schierati su fronti opposti, sempre
però nell’intento di attaccare e screditare il Papa di turno. Perché è questo,
inevitabilmente, quello che fa il mondo: screditare il suo avversario. Se non
lo screditasse non sarebbe il suo avversario: o perché egli si è fatto suo
simile o perché il mondo si è fatto cristiano. E questo non ci risulta.
Oggi si è in una nuova ed
inedita fase che, come detto all’inizio, suscita perplessità: il Papa non viene
attaccato. Questo genera nel credente perplessità e lo storico registra un dato
di fatto. A prescindere delle interpretazioni che se ne vogliono dare e senza
dubitare del lavoro diplomatico e umanitario che Bergoglio sta facendo in
favore delle vittime delle persecuzioni in Iraq, c’è da riflettere seriamente
(e velocemente) sullo stato comatoso in cui si è ridotto il mondo cattolico,
specie quello dei cosiddetti vaticanisti. Con Francesco e Benedetto XVI si sono
usate e si usano due pesi e due misure. In questo modo non c’è possibilità di
confronto. Ma anche non volendo fare paragoni, che lasciano il tempo che
trovano, risulta invece significativo questo papalinismo dei giornalisti delle
cose vaticane che non si interrogano e non replicano alle critiche rivolte
all’operato di Bergoglio, ma semplicemente pretendono di sottrare la questione
dalla riflessione pubblica. Invece di difendere il Papa e il suo operato, lo
spediscono – più o meno loro malgrado – nell’empireo del mito, sottraendoLo
dalla storia e dal giudizio sulle sue scelte.
Tutto questo non aiuta e, oltre
che a essere patetico, è nocivo per la maturazione di un laicato cattolico
ormai orfano di un fronte comune. Fronte comune spaccato proprio e soprattutto
dai media che, come se fossero i nomi di prestigio del calciomercato estivo,
hanno fatto del papa e del papato una questione di tifo. Tutto questo, però, è
nocivo anche per il Papa stesso.
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