Siamo nel
XXVII canto dell’Inferno di Dante, dove il Poeta pone i consiglieri
fraudolenti. Leggiamo una breve parte molto interessante. Chi parla è Guido da
Montefeltro che riferisce quanto accadutogli con il Papa Bonifacio VIII.
E’ poi ridisse: "Tuo cuor non sospetti;
finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
sì come Penestrino in terra getti. 102
Lo ciel poss’io serrare e diserrare,
come tu sai; però son due le chiavi
che ’l mio antecessor non ebbe care". 105
Allor mi pinser li argomenti gravi
là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio,
e dissi: "Padre, da che tu mi lavi 108
di quel peccato ov’io mo cader deggio,
lunga promessa con l’attender corto
ti farà triunfar ne l’alto seggio". 111
Francesco venne poi com’io fu’ morto,
per me; ma un d’i neri cherubini
li disse: "Non portar: non mi far torto. 114
Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini
perché diede ’l consiglio frodolente,
dal quale in qua stato li sono a’ crini; 117
ch’assolver non si può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente". 120
Questa una parafrasi: “Egli [Bonifacio VIII] poi disse: "Non
aver timore; t’assolvo fin d’ora, e tu indicami il modo di abbattere
Palestrina. E’ in mio potere chiudere e aprire. come tu ben sai, il regno dei
cieli; perciò due sono le chiavi che il mio predecessore (Celestino V, che
rinunciò al trono pontificio) rifiutò ". Allora i fondati argomenti mi
spinsero là dove il silenzio mi parve la risoluzione peggiore, per cui dissi:
"Padre, giacché tu mi assolvi da quella colpa in cui ora devo cadere,
promettere molto e mantenere poco ti faranno trionfare (sui tuoi nemici)
nell’eccelso tuo trono". Giunse poi San Francesco, non appena fui spirato,
per prendere la mia anima; ma uno dei diavoli gli disse: "Non portarla via
con te: non farmi torto. Egli deve venire nell’inferno tra i miei sudditi
perché ha dato il consiglio ingannatore, dopo il quale sono stato sempre pronto
ad afferrarlo per i capelli; non si può infatti assolvere chi non si pente. né
è possibile pentirsi e peccare al tempo stesso perché è cosa contraddittoria"
[fonte]
Questo passaggio è così spiegato
da Giorgio Inglese: “La colpa di
Bonifacio è evidente e odiosa; ma l’immagine di Guido non è quella di una
vittima innocente. Egli è convinto (v. 69) che, senza l’intervento del «gran
prete», si sarebbe salvato; ma è lecito pensare che tale certezza sia una
componente dell’odio e del rancore che, come aggravio di pensa, lo tormentano.
In realtà, nella paura che l’ira di Bonifacio potesse «serrargli» il Paradiso e
nell’illusione che un’assoluzione senza pentimento potesse «disserrarglielo»,
bisogna vedere non tanto l’errore dottrinario, quanto l’incompiutezza della
conversione morale, e forse l’abitudine mentale al calcolo degli «accorgimenti».”
[G. Inglese – Dante: Guida alla Divina Commedia]
Leggendo queste pagine e queste
parole tre considerazioni mi vengono in mente.
Primo: L’”autorità”
del Papa di andare oltre e contro quanto stabilito da Cristo. "Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare
testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas
docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di
legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai
Dodici…Questa potestà di insegnamento spaventa tanti uomini dentro e fuori
della Chiesa. Si chiedono se essa non minacci la libertà di coscienza, se
non sia una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero. Non è
così. Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in
senso assoluto, un mandato per servire. La potestà di insegnare, nella
Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa
non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al
contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e
verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì
vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di
Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di
fronte ad ogni opportunismo.” [Benedetto XVI – Omelia nella Celebrazione Eucaristica
e insediamento sulla Cathedra Romana del vescovo di Roma, 7 maggio 2005]
Questo dovrebbero impararlo a memoria tutti coloro che si nascondono dietro
l’espressione “il Papa ci ha approvato”, vedendo in questa (vera o presunta)
approvazione una legittimazione di ogni stramberia. Il Papa è infallibile non
quando ci fa comodo e risponde alle nostre voglie, ma solo in determinate
circostanze e a determinate condizioni (si legga il Concilio Vaticano I – sì
c’è stato anche un Vaticano I, non esiste solo il II -). Ciò non toglie che ciò
che dice il Vicario di Cristo e Successore di Pietro merita attenzione e
rispetto anche quando si esprime in maniera non infallibile (non è certo uno
scemo come lo scrivente). Ma è altrettanto vero che il Papa deve sottostare
alla Parola di Dio e a quanto, in maniera infallibile, i Suoi Predecessori
hanno stabilito. Se il Papa oggi dicesse che Gesù Cristo non è risorto, che
Maria Santissima non è vergine, che l’inferno non esiste o qualsiasi altro
dogma della Chiesa Cattolica, non dovremmo noi cambiare idea, ma dovremmo
turbarci del fatto che Colui che è stato chiamato a difendere la fede la
tradisce e la rinnega per motivi, pastoralmente importanti quanto vogliamo, che
non reggono di fronte alla volontà di Nostro Signore Gesù Cristo. E se ci
turbiamo (dicono in maniera esagerata ed eccessiva) per ogni parola che il Papa
dice, non è perché vogliamo insegnarGli il Mestiere, ma perché riconosciamo in
Lui l’Autorità assegnatagli e da Lui vorremmo parole di vita eterna, non
consigli per gli acquisti. A differenza di eretici e scismatici che
strumentalizzano il Papa ai loro comodi e lo ascoltano solo quando sembra
approvare le loro eresie, noi cattolici ascoltiamo sempre il Santo Padre.
Il Papa (chiunque
esso sia) ha il potere datogli da Cristo di legare e di sciogliere (cfr. Mt
16,19), ma questo potere non è un potere dittatoriale. Il Papa, la più alta
Autorità sulla terra, non può inventarsi qualcosa di nuovo da quanto predicato
da Cristo, né modificare (neanche di uno iota) quanto Gesù Cristo ha insegnato.
Lo spiega in maniera straordinaria Benedetto XVI:
Secondo. L’episodio di Guido da
Montefeltro è molto interessante (con aspetti anche divertenti) per quel che
concerne la dottrina cattolica sul pentimento palesemente ignorata e tradita
dal nostro amato clero. Come scrive Dante, mettendo queste parole in bocca ad
un diavolo: “assolver non si può chi non
si pente”. Il pentimento è condizione necessaria e fondamentale per la
validità della Confessione. Oggi invece si insegna che basta voler
ricominciare, che il peccato non esiste, che il pentimento non è necessario,
eccetera. Il pentimento è un “sentimento
di rimorso, dolore, rammarico per aver fatto cosa che si vorrebbe non aver
fatto” [da Treccani.it]. Se il peccato non lo riconosciamo come tale non ci
pentiamo. Se il peccato lo riconosciamo come tale ma non siamo dispiaciuti
dell’averlo commesso, non ci pentiamo. Se il peccato lo riconosciamo come tale
ma stiamo già pensando alla prossima volta che lo commetteremo, non ci
pentiamo. Se non ci pentiamo, allora, che cosa ci confessiamo a fare? Possiamo
prendere in giro il prete (che magari nemmeno si preoccupa del nostro
pentimento), ma certamente non il Padreterno!
Terzo. Per i papolatri di ogni
tempo, specie quelli nati dopo il 13 marzo 2013: Bonifacio VIII, Alessandro VI
(papa Borgia), ecc., sono papi legittimi. Se è vero il vostro ragionamento che,
per rifarmi a quanto detto sopra, qualsiasi cosa dice o fa il Papa è giusta e
buona perché a farla è il Papa, vi domando (senza entrare nel merito della
verità storica dei fatti): allora va bene, ed è da imitare, anche la condotta
di vita di Bonifacio VIII e Alessandro VI? Vanno bene anche le crociate e
l’Inquisizione, visto che a volerle furono dei Papi? O i papi sono diventati
buoni solo da un periodo in poi? E se sì, quale?
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