giovedì 17 ottobre 2013

Volevo non commentare, non entrare nella notizia dei funerali (presunti, richiesti e negati) di Erich Priebke. Volevo evitare perché non è necessario il mio parere, di idiozie ne sono state dette (e fatte) come al solito troppe e una in più può solo che fare danni piuttosto che evitarne. Non entro, quindi, nei meriti della vicenda in sé, ma lamento, da cattolico, l’incapacità della Chiesa di dire una parola chiara sulla vicenda. Questo è quello che soffro io, da cattolico. Celebrare i funerali di un criminale è lecito? Sì o no? È preferibile farlo in forma privata e non pubblica? Bene, ma lo si faccia. E si dica che ce ne freghiamo di ciò che pensano i benpensanti. Si dica espressamente e orgogliosamente qual è la dottrina cattolica e cosa prevede il Codice di Diritto Canonico. E dopo averlo espresso, fatelo. Fregatevene dei potenti di questo mondo. Qual è il problema dei funerali a Priebke? Che non si è pentito? Lo si dica chiaro e tondo, allora, che il pentimento è necessario alla salvezza e al perdono. Ma è altrettanto necessario per il funerale? Perché il funerale, pregare per i morti, insieme alla preoccupazione di seppellirli questi morti, sono opere di misericordia (spirituale una, corporale l’altra). Perché i funerali la Chiesa li ha recentemente celebrati anche per persone che con la loro condotta, mai negata, hanno tradito la fede cattolica. Perché allora si celebrarono i funerali e oggi no? Dove sta la differenza? Celebrare un funerale è approvare la condotta di vita del defunto? Assolutamente no! Ma i necessari maschili attributi per dirlo sembrano latitare nel nostro clero. Perché nella Chiesa oggi ci si fracassano le orecchie con la storia della misericordia e del perdono. A tutti nessuno escluso. Perché Priebke, però, non dovrebbe essere perdonato? Chi pensa che io sia negazionista o filonazista si faccia un esame di coscienza (se ne ha ancora una, sa cosa sia e sa come esaminarla) e taccia per sempre. Io mi pongo solo delle domande logiche. Le colpe di Priebke sono quelle che sono e non le nego. Così come non nego, però, l’ipocrisia di coloro che sbandierano il perdono-sempre-e-comunque. Ci sono colpe che non si possono perdonare? Se sì diteci quali sono. La Shoah e la pedofilia? Va bene, ne prendo atto. Ma sicuri che siano legate a una dottrina e a una verità eterne e non influenzate dalle mode del momento? Che non significa sottovalutarne la portata, significa però non far dipendere il proprio Credo dalle vicende storiche e dalla mentalità dominante. Che poi, seppur volete continuamente aggiornarvi con ciò che scandalizza il mondo e essere ad esso proni, almeno fatecelo sapere. Perché l’ipocrita contraddizione del perdono-sempre-e-comunque poi reclama il suo, ridicolo e grottesco, conto.

Quello che esce da questa vicenda, aldilà dell’episodio in sé, è di una Chiesa che apre account su Twitter, profili Facebook, va a braccetto con il mondo e poi è drammaticamente incapace di dire ciò che Essa è e ciò in cui Essa crede. 

Basterebbe studiare il Catechismo, la Dottrina cattolica. Ma chi la insegna? Chi la professa? Oggi l’importante è incontrare Cristo, farne esperienza e, parola di Papa Francesco, seguire quello che si considera sia il bene. Parole queste che, alla luce di questi tristissimi eventi, mostrano tutta la loro pochezza e pericolosità.

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