giovedì 22 agosto 2013

In questa terza – e ultima – parte, sulla nuova evangelizzazione, riprendiamo in manco ancora Fabrice Hadjadj e il suo anti-manuale di evangelizzazione. Hadjadj continua a riflettere sull’interrogativo di come parlare di Dio oggi (questo il titolo del libro) e, da un punto di vista cristiano, fa queste considerazioni: “La situazione del cristiano è particolarmente clownesca quando si trova messo quasi all'asta fra altri venditori di «sapienze». Ascoltate questo caso esemplare (parlo per esperienza): partecipi a un dibattiti televisivo insieme a un filosofo, a un buddista, a un musulmano e a una vedette e devi svolgere il ruolo del cattolico di turno. […] Il filosofo porta una dottrina, fornisce precetti di saggezza, parla di una morale universale e tutti possono ragionare su queste generalità. Il buddista propone una via di meditazione, apre un sentiero verso l’interiorità, parla di una pratica universale e tutti posso­no mettersi in posizione zazen e respirare in un'altra maniera. Il musulmano presenta il Corano, invoca una religione originale, semplificata, sgombra dalle complicazioni ebraiche o cristiane, parla di un libro da recitare e che tutti possono leggere e avere in casa. Infine la vedette parla di sé, dei propri successi, non suggerisce agli uditori un altro incontro se non quello che sta avvenendo con lei, semidea del cinema: anche so è una giraffa, va bene così, perché è stata selezionata per quello, come giraffa telegenica. Poi viene il tuo turno. Cosa potrai mai dire?”

Cosa può dire un cristiano, in questo panorama molto variegato di possibilità religiose? Oggi come oggi, poco convinti del “prodotto” che dobbiamo promuovere (mi si passi questa terminologia), prendiamo in prestito i modi, i mezzi e le pratiche in uso nelle religioni (o idolatrie) oggi più in voga. Per rifarci agli esempi di Hadjadj il cattolico di oggi, della propria fede, propone una serie astratta di perle di saggezza, quelle da scrivere sui foglietti dei cioccolatini o da mandare per sms alla propria amata; oppure straccia il proprio Credo mantenendo ciò che democraticamente va bene alle altre religioni, per ottenere un’unità del minimo comun denominatore. Questo minimo comun denominatore mai e poi mai sarà qualcosa di anche lontanamente cattolico. Altra alternativa è quella di conciliare la fede cattolica con le pratiche orientali. Anche i cattolici si mettano in posizioni di meditazione (non in ginocchio, però! questo sarebbe troppo tradizionale) e ascoltino quel che il loro io ha loro da dire. Oppure il cattolico di oggi procede ad una semplificazione estrema della fede, riducendola, come il musulmano, tra le altre numerose riduzioni, alla sola lettura di un libro (in questo caso la Bibbia) e dalla conoscenza della Scrittura, dal saper citare alcuni versetti molto ammalianti, fa derivare la propria fede e quella da annunciare al prossimo. Infine, l’ultima prassi contemporanea, è quella di parlare della fede coniugandola con noi stessi, parlando di noi stessi, delle nostre esperienze e del nostro sentire. Poco importa se l’oggettività, concreta e reale, della fede, così venga miseramente cestinata.

Prosegue Hadjadj: “Ti piacerebbe, da filosofo, accontentarti di ge­neralità e di nomi comuni con la maiuscola: la Bontà, la Giustizia, la Verità, il Divino, ecc. Ma devi affermare ancora un nome proprio: Gesù Cristo. Allora gli spet­tatori possono replicarti: «Perché proprio quel Gesù e non me per esempio? Perché parla di uno che non possiamo vedere, mentre potrebbe parlare di qualco­sa che tutti conoscono? E poi uno che è morto e poi risorto! Ma va là!?». Sarebbe bello, come fa il buddista, potersi accon­tentare di una tecnica di vacuità, della posizione del loto, della risonanza dell'om, che tutti possono fare da sé. Ma occorre che affermiamo soprattutto l’in­contro con una persona divina, un incontro del quale non siamo noi ad avere l’iniziativa. Gli spettatori pe­rò potranno replicare: «L'hai incontrato, e va bene, ma noi no. Il loto, almeno vediamo cos'è, lo possiamo fare intrecciando le gambe. Ma questo incontro non dipende da noi». Ti piacerebbe, come il musulmano, accontentarti di brandire un libro, di dire che basta ripeterlo a memoria o applicarlo alla lettera. Ma sei costretto ad af­fermare il primato dello Spirito, e la necessità di una tradizione, cioè di una determinata comunità storica, di un insieme di poveracci come te, e in particolare dei preti, che sono meno gradevoli degli altri, eppu­re hanno il potere di comunicare la grazia. Allora gli spettatori potrebbero ribellarsi: «Ma come? Pretendi di parlarci del divino e fai riferimento a quel gregge di buffoni, di storpi, addirittura di perversi, d'inquisito­ri che preparano il rogo (quando non sono pedofili!), comunque sempre barbosi fino al collo, grotteschi sotto la mitra, inebriati della loro potenza romana? Si accomodi pure, signore, e si consideri fortunato se abbiamo accettato di riservare un tempo di parola an­che a un pezzo da museo!». E, per finire, sarebbe bello, come la star del cine­ma, avere una faccia che risalta bene sotto la luce dei proiettori, metterti in mostra, dire che il punto sta nel l’incontrare te, nel disporre di tutte le attrattive della seduzione per immagini. Ma sai che qui, invece, il compito non consiste nel trionfo delle immagini, ma della vita, e che il tuo scopo non è di se-durre (cioè di condurre a sé) ma di volgere verso l’Altro che, del resto, è anche lo Stesso, quello che ti fa balbettare. Allora gli uditori si gireranno dall'altra parte per non vedere il tuo numero pietoso: «Ascoltiamo la bella attrice. Lei almeno è ben visibile, ha molto più charme e molte meno pretese!»."

Il mondo preferisce altro, è inevitabile. La massa mondana non sarà mai attratta da Cristo. A meno che di non rinnegarLo. Le persone singole, però, possono convertirsi. Ed è a questa conversione che bisogna puntare, non a trovare il più possibile aspetti della fede cattolica da eliminare o rinnegare. Eppure noi cattolici, preti e vescovi in testa, non vogliamo essere fedeli a Gesù Cristo e alla Sua volontà di insegnare quanto Egli ha insegnato ai suoi discepoli che, fedelmente (spesso morendo pur di non rinnegare una sola virgola), lo hanno a noi trasmesso. Pretendiamo che Gesù Cristo sia fedele alle nostre assurdità e, per vigliaccheria, stupidità ed eresia, adattiamo la fede cattolica alle novità del mondo.

“È vero però che se cominciassimo anche noi a cambiare l'ostia in hamburger a tre piani, se faces­simo della messa un grande spettacolo affascinante, se adottassimo il tono dei figli di questo mondo, tra­sformando l'ordine dei predicatori in un’agenzia pub­blicitaria, cosa succederebbe?” si domanda retoricamente Hadjadj. Il problema, però, è che questa non è fantascienza, ma la realtà in cui viviamo ogni giorno. La Messa è oggi uno spettacolo. Così è concepita da preti, vescovi e fondatori laici di movimenti. Così è realizzata da liturgisti e animatori parrocchiali. La logica della pubblicità, del consumo, delle masse, ha coinvolto tutti gli aspetti della fede. Dalla prassi liturgica (la Messa è riuscita perché vi hanno partecipato in tanti), alla predicazione (è stata una buona predicazione perché avevamo la piazza piena). Una fede fatta di numeri e non di persone non è la fede cattolica. Una fede che si preoccupa di riuscire, piuttosto che di essere fedele a Dio, anche a costo di morire, non è la fede cattolica. Non è la fede dei santi che per amore della verità e dell’ortodossia hanno patito i peggiori strazi e le più atroci morti. Oggi il martirio è così aborrito che vediamo preti e vescovi nei salotti tv, acclamati da folle impegnate a sculettare prendendo esempio dai sacri ministri. L’esempio che preti e vescovi dovrebbero dare è quello della fedeltà al proprio Credo. Perché è questa la formula migliore di evangelizzazione. Se vedo un vescovo ballare il flash mob, un prete obbedire più al suo leader laico piuttosto che al Papa, un laico inventarsi una liturgia (e giustificarla in maniera ridicola) piuttosto che celebrare quella della Chiesa, un prete o un laico predicare il proprio Vangelo e non quello della Chiesa disprezzando tutto ciò che la Chiesa ha sempre creduto e insegnato; se vedo tutto questo come posso credere? Come posso credere e sperare di convincere qualcuno a credere se?

“Saremmo accattivanti, invece di essere liberanti. Ipnotizzeremmo invece di condurre a un risveglio. Guadagneremmo, non dei fra­telli, ma una clientela; non i tuoi figli, ma degli abbo­nati. Supponiamo che ogni volta che annunciamo la tua parola, attorno a noi si realizzino fenomeni straor­dinari, come ad esempio la levitazione dell'evangeliz­zatore, le fiamme che escono dalla sua gola, i raggi di luce dai suoi occhi, un profumo di rose dalle sue ascel­le, ecc. Signore, tu lo sai, la cosa provocherebbe come minimo due equivoci. Il primo è che la fede sarebbe a scapito della tua creazione: come se la fede dovesse sempre opporsi al corso ordinario delle cose voluto da te e svilupparsi nel senso di un sovrappiù di effet­ti speciali. Non proveremmo più nessuna tenerezza per la puzza di sudore di un predicatore qualunque, correremmo al galoppo dietro le aureole magiche e i profumi inebrianti. Rivolgerci a te per queste attra­zioni spettacolari significherebbe distoglierci dal fiore dei campi, dai maccheroni al sugo, dalla vecchia signora del piano di sotto; rifiutare insomma la semplicità dell'essere, mentre tu sei il semplicissimo, renderci sor­di alla parola che tu diffondi attraverso ogni cosa.
Il secondo equivoco è che la gente verrebbe a te non per amore, ma per forza. Sarebbe soggiogata dal­la tua potenza schiacciante. Non imparerebbe altro che una superbia altera, si vedrebbe confermata nel proprio orgoglio. Saremmo sottomessi all'lmpenetrabile e non risollevati dal Misericordioso. Sicuramente si prosternerebbero in massa, tutti col corpo treman­te, senza però che il cuore partecipi: anzi quel «sicuramente» non li trarrebbe fuori dalle loro colpe, non sarebbe altro che un appiattimento servile, e non un pentimento filiale. Allo stesso modo, l’indemoniato geraseno che, mentre Gesù si avvicina, accorre, adora, somiglia a una fidanzata di marinaio quando sbarca al porto il fidanzato: è tutt'altro che una fidanzata, poiché i suoi gesti sono dettati dal panico: Non tor­mentarmi! (Me 5,7). In realtà, Signore, se ogni volta che pronuncio il tuo nome un arcangelo si levasse a corroborare il mio dire, non sarei affatto meglio di un terrorista. E il successo dei miei prodigi minaccianti non moltiplicherebbe i fedeli, ma i demoni.” [F. Hadjadj – Come parlare di Dio oggi?]

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