giovedì 23 maggio 2013

Prosegue l’analisi della riforma liturgica (che si trascina dietro tutto il resto di quanto accaduto nel, con e dopo il Concilio) ascoltando chi quella riforma l’ha voluta e realizzata. Il tutto grazie al lavoro di don Guglielmo Fichera (dal quale sono tratte le successive citazioni, pubblicate sul sito www.fedeecultura.it al quale rimando per completezza di analisi).
Appurato il fatto che da parte degli eretici la riforma liturgica era a loro favorevole, compiacente al loro credo, avevo concluso la prima parte con l’interrogativo se tutto il disastroso lavoro della riforma liturgica sia stato voluto dal Vaticano II o meno. Il domenicano padre Schillebeeckx, che molto ha influenzato il Concilio, ha candidamente affermato: “Io e i miei confratelli progressisti, abbiamo inserito scientemente dei termini equivoci e ambigui in Concilio, ben sapendo cosa in seguito, dopo il Concilio, ne ricaveremo”. Nei progressisti c’era già l’intenzione di non riferirsi nelle loro pratiche alla lettera del Concilio, ma al fantomatico spirito; ma questo sarebbe stato possibile solo con l’uso di un linguaggio ambiguo, che apparentemente soddisfacesse le idee dei cosiddetti conservatori. Qui ritorna evidente la carenza e il limite della rinuncia del linguaggio definitorio, dogmatico, della Chiesa. Chiesa che non deve dialogare con il mondo, e quindi usare il suo linguaggio, ma vincere il mondo, sull’esempio del Suo Divin Fondatore (cfr. Gv 16,33). 
“Il luterano dott. Kristen Skydsgaad, osservatore al concilio, si rivolge al Papa a nome di tutti i non cattolici convenuti alla seconda sessione: “Ogni mattina sono sempre più sorpreso di vedere fino a che punto noi facciamo veramente parte del concilio” e ancora: “I sei protestanti che facevano parte dell’organismo incaricato della riforma liturgica (il Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia) per esplicita testimonianza di mons. W. W. Baum (oggi cardinale) non furono semplici osservatori ma ebbero un ruolo attivo nella creazione della nuova messa”. Non so cosa si possa aggiungere per mostrare come il nuovo rito della Messa sia stato ben visto dai protestanti (che, ricordo, sono eretici), non perché essi si siano convertiti al cattolicesimo, ma perché i cattolici hanno prostituito la loro liturgia per renderla piacevole ai protestanti (e non più a Dio). Nei libri di storia non si studia che negli ultimi decenni l’eresia protestante si sia estinta, questo perché è ancora viva e vegeta (pur nelle sue infinite divisioni) e ciò dimostra come sia stato fallimentare (oltre che deprecabile) l’intenzione di riformare la liturgia cattolica per compiacere degli eretici.
Che il Concilio fosse orientato alla dottrina protestante, più che a quella cattolica, lo dimostrano anche queste due successive citazioni: “Sull’onda del successo, i cardinali Suenens e Dopfner si spinsero ancora più in avanti: chiesero al Papa di permettere ai vescovi di partecipare alle Congregazioni generali con abiti meno impegnativi delle vesti prelatizie e di annullare la celebrazione della S. Messa all’inizio delle sedute, per ampliare il tempo della discussione. Le richieste centro-europee furono appoggiate dal Card. Montini […] ma Giovanni XXIII questa volta si irrigidì e preferì seguire i consigli del Card. Siri, contrario a queste richieste, perché, disse: “Il Concilio aveva bisogno prima di pregare e poi di pensare” e “Il solito padre Congar scriveva da parte sua: “Faccio il massimo della campagna possibile contro una consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria, perché vedo il pericolo che si formi un movimento in questo senso.”” Si domanda giustamente don Guglielmo Fichera: “Se addirittura si impegnava al massimo contro la Consacrazione alla Madonna, per chi lavorava, realmente, Congar?” Inquietante. Eppure questi furono i personaggi che, chi più chi meno, determinarono il Concilio. Complice la stima e la fiducia che in loro riposero Giovanni XXIII e Paolo VI. Se tutto questo è stato possibile, seppur molto spesso nell’illegalità delle norme conciliari, lo è stato anche perché i due Pontefici, volenti o nolenti, decisero di non intervenire. 
A scanso di equivoci, anche i massoni si felicitarono per le sorti del Concilio: “Marsaudon, poi, si richiamava esplicitamente alla rivoluzione voluta da Giovanni XXIII della libertà di coscienza: “Noi pensiamo che un massone degno di questo nome e che si è impegnato egli stesso a praticare la tolleranza, non possa non rallegrarsi, senza alcuna restrizione, per i risultati, irreversibili, del Concilio, quali che siano le conclusioni momentanee.”” Che queste idee non sono né peregrine, né morte cinquant’anni fa, lo dimostra quanto disse il Card. Martini in una sua recente pubblicazione: “La Chiesa, al Concilio Vaticano II, si è ispirata a Lutero per dare corso al rinnovamento, dischiudendo per la prima volta ai cattolici il tesoro della Bibbia su basi più larghe.” E ancora: “Quando leggo i documenti del Modernismo e li confronto con i documenti del Vaticano II, resto sconcertato: ciò che è stato condannato come un’eresia (il modernismo) nel 1906, è stato proclamato ormai come dovendo essere e come essendo la dottrina e il metodo della Chiesa.” [J. Guitton]
Quali benefici possa aver portato alla Chiesa un Concilio apprezzato da protestanti e massoni, nel quale le eresie moderniste sono diventate parte integrante dei documenti conciliari, è un mistero che nessuno è stato in grado di spiegarmi. 
Per ritornare, e concludere, con il tema della liturgia e della nuova messa (uso volutamente la minuscola), spero bastino queste successive affermazioni: “Dovrebbe essere possibile oggi a un protestante, di riconoscere nella celebrazione eucaristica, la Cena istituita dal Signore” [Concistorio Superiore della Chiesa della Confessione di Augsbourg d’Alsazia e Lorena] e “Possiamo adottare il nuovo rito perché la nozione di sacrificio è per nulla chiaramente affermata” [Fratel Rogeri Schutz di Taizè] e “Adesso, nella messa rinnovata, non c’è niente che possa veramente turbare il cristiano evangelico” [Siegevalt, professore nella Facoltà protestante di Strasburgo] Dovrebbe, e dico dovrebbe, turbare il cattolico.
Mi domando, ancora, ma di cosa stiamo parlando? È evidente come il Concilio stesso sia stato in mano ad eretici, massoni e quant’altro. Che i documenti del Concilio, inevitabilmente, riflettono le eresie dei loro estensori. Certo, non tutto è da buttar via. Ma non per questo dobbiamo tenerci tutto. I concili non sono sempre impeccabili, perfetti e risolutivi. La storia della Chiesa contempla casi in cui i concili hanno fallito. Ci sono casi in cui dei Papi hanno rigettato documenti proclamati durante un concilio. Che questo non possa essere anche il caso del Vaticano II? Senza strapparsi farisaicamente le vesti, bisogna essere seri e onesti. Bisogna essere, quindi, cattolici. Ciò che è seguito al Vaticano II è stato un cinquantennio di disastri dottrinali, liturgici ed ecclesiali. Negarlo è da orbi. La causa, anche per debolezza dei tanti buoni cattolici presenti al Concilio, è anche e soprattutto nella fallacia dei documenti conciliari. Bisogna innanzitutto riconoscerlo e finirla con il pregiudizio positivo nei confronti dell’ultimo concilio. Bisogna tenere ciò che è buono e gettare con decisione e chiarezza tutto quello che di malvagio c’è. E c’è. Il Vaticano II, purtroppo, gode ancora di un’aurea di era fantastica, epica, gloriosa. La realtà storica, come mostrato e dimostrato, non è quella. Almeno non lo è stato per la Chiesa cattolica. Lo è stato per tutti i suoi oppositori anche se preti e cardinali. Del Vaticano II, quindi, occorre un’analisi seria e onesta che molti già fanno. Noi che amiamo la Chiesa e che siamo onestamente cattolici, riconosciamo che le matasse dottrinali, liturgiche ed ecclesiali seguite al Vaticano II non possono essere risolte da un credente (per quanto preparato possa essere), un prete o un vescovo, ma solo e soltanto dal Sommo Pontefice. Da Lui, cui Cristo affidò la Chiesa, aspettiamo una parola (e gli atti necessari) chiara e definitiva su queste vicende. Non ci appelliamo alle nostre idee o alle fantasie di altri. Ci rivolgiamo a Lui che è il Capo della Chiesa. E come tale spetta il compito glorioso e gravoso, di difendere la Dottrina della Chiesa, da tutti i lupi rapaci che in ogni secolo attaccano l’ovile di Cristo.

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