venerdì 28 dicembre 2012


I mezzi di comunicazione nascono, tutti, per sopperire a un problema serio e grave della storia dell’uomo: la distanza. La lontananza, la separazione da una persona o un qualcosa di caro, di amato, è per l’essere umano motivo di sofferenza e di nostalgia. Su questi aspetti sorge la necessità di sviluppare sempre nuovi mezzi di comunicazione, che siano in grado di stabilire un legame laddove la realtà lo ha troncato. Non si può certo trascurare l’aspetto fisico della questione, anzi!, ma il merito e il vantaggio della lettera, del telefono e di ogni altro strumento è quello di poter dire alla persona amata “mi manchi”, “vorrei tu fossi qui”. Che sia scritto su carta, sussurrato attraverso una cornetta, digitato su un display o detto in un video, poco cambia: non c’è il contatto fisico. Questa presenza, la fisicità dell’altro, non può essere sostituita. È unica e come tale non riproducibile. Certo la voce è la stessa, ma un conto è baciare una cornetta o un monitor, altro è baciare le labbra della persona amata. Ci siamo tanto abituati a questo stato di cose che abbiamo perso la funzione principale dei mezzi di comunicazione, che è quella appunto di comunicare. Ormai nei sistemi di comunicazione si sta, “sto al telefono”, “sto su Facebook”, “sto su Twitter” e questa distorsione della realtà andrebbe studiata seriamente. Sono sempre io, Daniele, o è un'altra cosa l’account, l’avatar, che sta su internet? Può essere risolta la questione delegandola alla semplice capacità di utilizzo di ciascun individuo? Basta solo saper usare questi strumenti, saper distinguere tra realtà e finzione, oppure la “finzione”, la rete, ha invaso la realtà? Siamo così abituati a questo stato di cose, dicevo, che sentirsi dire “ti voglio bene” per sms o di persona non risulta differente. Nell’uomo moderno, che concepisce la rete come uno spazio, questo va frequentato e come tale vissuto. Si crea vita nella rete. Ma la domanda rimane la stessa: sono io che vivo o è una mia proiezione da me più o meno controllata? Se non sono io, possiamo considerarla vita? Tanto più vita reale? La rete ha invaso la nostra esistenza, tanto che queste domande non le poniamo e diamo per scontate risposte, che scontate non sono. L’esperienza multimediale, della rete, è una realtà disincarnata. Una realtà, in una prospettiva cattolica, dove i sacramenti non possono arrivare. Una vita senza sacramenti è possibile? È auspicabile? Se i sacramenti non possono essere celebrati è perché o quella non è una realtà o quelle non sono persone. I sacramenti sono legati indissolubilmente con la materia. Acqua, pane, vino, mani, olio, eccetera. In entrambi i casi la mia domanda acquista risposte negative. Probabilmente questa realtà virtuale non l’abbiamo troppo perseguita, ce la siamo ritrovata. L’evoluzione della tecnologia ha portato a creare i mezzi per poter realizzare quanto viviamo. Nella nostra profonda nostalgia dell’altro abbiamo pensato che applicare tali mezzi alla comunicazione ci avrebbe aiutato. Ci ha, invece, resi più soli. Abbiamo sostituito l’altro, la sua persona, con il suo avatar, la sua immagine multimediale. Non è la stessa cosa dire o scrivere “ti mando un bacio” e darlo realmente quel bacio. Senza retorica, non può essere uguale. L’essere umano, la persona, sui social network, ha un profilo. Chi ci si relaziona non ha la possibilità di guardarlo negli occhi, di vederlo nella sua interezza (non solo visiva). Abbiamo perso la carnalità dell’essere umano, la sua profonda unità ontologica con la carne. Celebriamo in questi giorni la festa di un Dio che si è fatto uomo, che ha preso la natura umana, la sua carnalità. Non l’ha rifiutata. Internet, la rete, è invece l’esatto opposto del Natale: è la disincarnazione. Mi astengo dal concludere dicendo che è una realtà diabolica, visto che il diavolo, il divisore, odia l’Incarnazione. È una riflessione che qualcuno dovrebbe fare, piuttosto che moltiplicare account sui vari social network. Oltre le facili demonizzazioni e la ancor più facili esaltazioni della realtà della rete, pare davvero di essere intrappolati, in gabbia, in una rete. Questa rete chiude o limita la nostra persona, non potendo ripetere la qualità e la caratteristica che dell’uomo è proprio: la carne. Siamo in una gabbia più grande di noi, dalla quale probabilmente non ci libereremmo neppure scegliendo di non avere nessun profilo sui social network, né scegliendo di non utilizzare internet. È una “realtà” che ha invaso la nostra esperienza. È una lotta impari, che non possiamo nemmeno osare di combattere. Certamente la consapevolezza di tutto ciò, può portare, almeno, a limitare i danni.

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