Questo è uno spezzone di uno di quei classici film in cui la realtà storica è storpiata o quantomeno tagliata. Si prende un aspetto della realtà e si esalta, trascurando tutto il resto. Alla fine dell’operazione ne esce un prodotto viziato. Perché? Perché si fa passare il Papa di turno, quello eletto, il “nuovo”, come il migliore, quello buono, dolce, riformatore, aperto al mondo. Che si scaglia e si spende contro la cattiveria, l’ottusità, la miopia del predecessore. Che combatte i mali e i vizi della Chiesa e in particolar modo della Curia romana. Che la Curia non sia un luogo di santi, il pontificato di Benedetto XVI lo mostra bene, ma da qui a farli passare come un covo di cospiratori, che tramano contro il Papa, che lo considerano un inetto e un incapace, ce ne passa. A tal proposito mi divertirò un mondo, quando faranno i film sull’elezione di Joseph Ratzinger, quando sarà lui a passare come quello buono, solo e soltanto per accusare e oscurare il successore. Così come capita quando si confrontano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Per tornare al tema mostrato dal video, cioè la questione della lingua liturgica, ci sono molteplici considerazioni da fare. Alcune ne ho già svolte, altre mi preme farle ora. La prima: se un uomo si reca in una terra straniera, una delle sue prime preoccupazioni è quella della comprensione, della diversa lingua. Si prodigherà quanto prima di imparare quella lingua per potersi rivolgere alle persone con le quali dovrà vivere. Sarebbe da pazzi pretendere che sia la popolazione ospitante ad adattarsi alla sua lingua. Non si capisce perché non debba avvenire lo stesso con la Chiesa. Perché non si può imparare il latino? Se in un futuro la gente non saprà più come si fa il segno della croce che si fa? Lo aboliamo o lo sostituiamo con altro? Il latino non è la lingua degli italiani, dei francesi, degli africani, ecc. È la lingua della Chiesa. Della liturgia della Chiesa cattolica. Chi vuole essere cattolico e celebrare i riti cattolici impari il latino. Non tanto da diventare un professore universitario, quanto almeno da comprendere e saper recitare le varie parti della Messa. Quella della comprensione è, come le altre, un pregiudizio, una strumentalizzazione della vicenda. Il classico grimaldello per scardinare la bellezza della Sposa di Cristo. Nel caso specifico di questo film, si lascia intendere che Giovanni XXIII fosse favorevole all’uso delle lingue volgari nella liturgia al posto del latino. Il Giovanni XXIII della storia però, a differenza di quello dei romanzieri, dei registi e dei cattolici adulti, scrisse la Costituzione Apostolica Veterum Sapientia dove stabilisce: “I medesimi Vescovi e Superiori Generali degli Ordini religiosi, mossi da paterna sollecitudine, vigileranno affinché nessuno dei loro soggetti, smanioso di novità, scriva contro l'uso della lingua latina nell'insegnamento delle sacre discipline e nei sacri riti della Liturgia e, con opinioni preconcette, si permetta di estenuare la volontà della Sede Apostolica in materia e di interpretarla erroneamente." [§ 2] Basterebbero queste parole per far tacere i babelisti della liturgia. Basterebbero, è vero, anche i testi del Concilio Vaticano II, sbandierato erroneamente a destra e manca per giustificare tutte le porcate liturgiche, ma repetita iuvant. La seconda considerazione: Elie Wiesel (lo scrittore ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti) disse che aveva un profondo senso di smarrimento a usare, tanto per fare un esempio, la parola ‘camino’. Essa nella percezione comune, e anche nella sua infanzia, evocava calore, accoglienza, dolcezza. Dopo il trauma del campo di concentramento la stessa parola ‘camino’ assume tutt’altro significato ed evocava certamente altre immagini e altre sensazioni. Mi domando: davvero pensiamo che dire, tanto per fare un esempio, ‘Agnello di Dio’, piuttosto che “Agnus Dei” sia la stessa cosa? Non sarà che la seconda espressione certifichi meglio la diversità dell’Agnello di Dio, rispetto agli agnelli che vediamo nelle campagne? Davvero crediamo che la comprensione di un mistero passi per la traduzione della parola che lo riassume? Non sarà, anche qui, il caso di educare i fedeli a capire cosa significa “génitum, non factum, consubstantiálem Patri”, che la mera traduzione “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre” poco aiuta, se non addirittura confonde, a comprendere ciò che realmente significa? Terza, e ultima, considerazione. Partendo dal presupposto (non necessariamente vero) che la deformazione liturgica sia stata fatta nelle migliori intenzioni (seppur dalla disobbedienza non possa nascere niente di buono e non può esserci riforma della Chiesa), possiamo riconoscere e ammettere che sia stata un fallimento? Magari parziale, ma almeno per la lingua, totale? Siamo in una Babele liturgica. Si parla in tutte le lingue del mondo per cui un cattolico è cittadino solo in casa sua. Se esce dalla propria provincia, già cambia l’accento. Se esce dalla propria nazione, cambia la lingua. La liturgia non è la stessa. I suoni sono diversi, le parole anche. E si sa quanto le parole siano fondamentali. Il video mostra benissimo quello che è accaduto: si è voluto far parlare in tutte le lingue del mondo tranne una, il latino appunto. In ambito liturgico si è potuto fare di tutto (e spesso è ancora così), tranne fare quello che si è sempre fatto, tranne celebrare come la Madre Chiesa ha per secoli celebrato. Questo per decenni. Poi il coraggio di Benedetto XVI ha eliminato quest’assurdità. Quanto ancora dovremo attendere per ritrovare e ritrovarsi in una liturgia che unisce e non divide? Un’ultimissima considerazione, che fa pensare, ma anche tremare: nell’ultimo libro di Paolo Rodari con padre Gabriele Amorth (il più importante esorcista vivente), L’ultimo esorcista (Piemme), padre Amorth ripete spesso come il rituale degli esorcismi sia in latino e in latino vanno rigorosamente imparate e recitate le varie parti. Forse che sia più efficace? Non sarà allora che non proviene da Dio la volgarizzazione della liturgia?
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